Categorizzazione:

Racconto

Scritto

Funzioni:

BALLARIN Giovanni detto Jonny il guerriero

Autore: Salvatore Romano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BALLARIN GIOVANNI

 

Detto Jonny il Guerriero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ballarin Giovanni si svegliò con un gran mal di testa e, soprattutto, intrappolato dentro quella che sembrava una camicia di forza. E ciò non poteva essere. Lui, lo conoscevano tutti, era Jonny il guerriero. E dunque per scrollarsi di dosso quella brutta sensazione di costrizione ripercorse un po’ della sua vita. Ricordò di quando era inseguito da una canea famelica di nemici assetati di sangue. E cominciò a parlare con se stesso in questo modo. Sono ormai anni che mi danno la caccia e se credono di spaventarmi si sbagliano di grosso. Non sono l’ultimo arrivato. Ho combattuto in Vietnam, in Afghanistan, nel Pakistan e in Cecenia: in pratica dappertutto. Dovunque c’è bisogno di eroi io, Jonny, accorro. In realtà mi chiamo Ballarin Giovanni ma converrete che Jonny è tutta un’altra cosa. Ho esperienza da vendere e con il mitra al mio fianco, non ho paura di nessuno. Insieme formiamo di certo la coppia più affiatata che si sia mai conosciuta. Mai uno screzio, un litigio. Niente di niente. Innamorati come il primo giorno. Mi danno la caccia da anni e lo fanno da quando, durante una perlustrazione nella giungla scoprimmo, io e i miei compagni d’arme, una possente fortificazione dalle mura ciclopiche. Era piena di ribelli… Cominciarono a sparare. Forse avevano anche delle armi chimiche, e nessuno si sarebbe meravigliato se avessero avuto anche armi atomiche. Noi lì a portare il progresso e loro di rimbalzo regalavano piombo. La loro conformazione fisica, quei crani diversi: lo diceva quell’italiano lì (un mio illustre corregionale) che una razza può essere misurata con gli strumenti adatti. Perché sto dicendo queste cose? Ah, sì, ora ricordo. Cioè non c’entra niente. Comunque era per dire che questi escono dal sottosuolo come formiche. Sparano. Sparano. Che potevamo fare? Se ti porgo l’altra guancia tu me la crivelli. Insomma ci siamo difesi. E direi anche abbastanza bene. Abbiamo risposto al fuoco. Che musica! Che concerto! Col nostro coraggio ci siamo scagliati contro quei vigliacchi e abbiamo ucciso loro anche l’anima, semmai ne avessero avuta una. Alla fine del combattimento non ne era rimasto in piedi neanche uno di quei pigmei senza palle. Li abbiamo fracassati tutti. Ne abbiamo fatto concime per quei loro campi. Porca puttana! Cosa ne potevo sapere io? Per una schifosissima magia, la fortificazione si tramutò in un villaggio. Quella gente pratica la magia nera. Lo sanno tutti. I ribelli, maledetti, una volta morti assunsero le sembianze di contadini, donne e bambini. Capite? Riescono a ingannarti anche senza vita. E i regimi? Te li raccomando! Manipolano tutto. Uno di loro prese l’aspetto del nostro dottore di reggimento. Mi misurarono la pressione. Mi fecero dei test. Mi hanno messo sotto accusa. Hanno detto che dicevo bugie, che ero un criminale di guerra, che uccidevo per il gusto di uccidere. E ora m’inseguono come fossi una bestia. Roba da non credere. Sono sicuro che se mi raggiungono non mi danno il tempo nemmeno di soffiarmi il naso. Non mi ascolterebbero. Credono che la guerra sia un tiro al piccione. Una disciplina sportiva: insomma non gli danno importanza e la usano come un videogame. Sento dei colpi di mitra in lontananza e un abbaiare di cani. Non capisco il perché di questo accanimento. Sono prigioniero e non posso muovermi, ingabbiato come sono da questa invenzione diabolica che mi avvolge. I regimi manipolano tutto. Il Sole d’inverno scotta oltremodo. Glory glory alleluja… glory glory alleluja. E mi e ti e ‘Ntoni… Ah, il Presidente non beve il caffè. Nessuno si alza la mattina senza essere svegli e il geranio trova il tempo che lascia non certo quello che vuole. Ancora spari… maledetti. E non sono lontani. Un’altra volta ancora feci prigioniero un rivoluzionario dalla folta capigliatura… e con un paio di occhiali inforcati come i comunisti. Quei coglioni dei miei compagni nel rapporto scrissero che era un contadino inerme. Ma era sempre lui, quel ribelle che aveva preso le sembianze del dottore di reggimento, che poi aveva preso le sembianze del Comandante, e che adesso aveva preso le sembianze dei miei compagni. Questi praticano la magia nera. Giuro che era un rivoluzionario. Ve l’ho detto: inforcava gli occhiali come un comunista e aveva una folta capigliatura. Purtroppo nessuno più capisce la guerra o perlomeno siamo rimasti in pochi a capirla. Non sempre il mare assomiglia al brodo del contadino. Cazzo! Se non era un rivoluzionario quello non lo era nessuno. Portava gli occhiali, aveva una folta capigliatura e stava leggendo un libro. Non capiva né parlava la mia lingua. Santo Iddio! Cos’era?  Un cazzo di extracomunitario sbarcato da chissà quale barcone. Comunque, siccome non sono come loro e la mia gente è tutta gente perbene, volli dargli la possibilità, nonostante fosse un comunista, di salvarsi la vita. E però doveva meritarlo questo dono. Cinque minuti. Gli lasciai cinque minuti di tempo per fregarmi e scappare come un coniglio. Passati i cinque minuti mi misi in cerca. Jonny non è mica nato ieri. Ballarin conosce il suo mestiere. Lo stanai in un niente. Era accovacciato dietro un cespuglio. Tremava. Tremava come una foglia sbattuta dal vento, come la canna del mio mitra quando inizia il concerto. Come un foglio di carta quando il poeta vuole imbrattarlo con un verso. Bella questa. Aspetta. Forse ne ho una migliore. Come la scoreggia che attraversa un temporale. Comunque, a chi nasse sfortunai, ghe piove sul cul a star sentai e glielo dissi a voce alta a questo quattrocchi comunista coi cavei lunghi e sporchi. Ma niente. A parlare con un somaro c’è sicuramente più dialogo e più uso di frasi compiute. Sto deficiente stringeva nel pugno una catenina con appeso alla base un Cristo crocifisso. Appena mi vide mi si buttò ai piedi implorandomi pietà. Pietà in nome di quel Cristo che stringeva nel pugno. Come osava nominare il mio Cristo? Gli diedi un calcio in bocca e gli spezzai un bel po’ di denti e, nonostante questo, lui continuava ad implorare pietà e a piangere come un allattato. Gli mollai il calcio del mio mitra nel fianco. Mi diceva “fratello, fratello, ti prego”. Gli musicai una prima raffica di mitra nella spalla. Mi mostrò quel Cristo in croce. Lo afferrai per i capelli e lo riempii di calci e pugni. Mi dava fastidio quel suo pregare, quel suo piangere, quel suo essere vigliacco, quel suo non avere dignità. Se ad un uomo togli la dignità cosa resta? Io non potrei vivere senza. Mi sentirei nudo come un verme. Ed è per questo che con un’altra raffica di mitra, intonata, cristallina, limpida, gli feci saltare quel Cristo dalle mani. Lo ridussi un colabrodo. Cadde a terra proprio nella posizione di quel Cristo. Con le braccia distese e i piedi uniti. Chissà se quelle merde hanno trovato le mie tracce? Settembre, ottobre e novembre possono anche andare in gita: sono mesi coi calzini. In Vietnam, ricordo come se fosse adesso, dopo aver conquistato un paesino medioevale, fortificato e protetto da mura ciclopiche, con torrioni e ponti levatoi, difeso da pidocchiosi vietnamiti armati forse anche con le bombe atomiche, ognuno di noi ebbe il permesso di arraff… di pulire le case e di non lasciare in giro oggetti di valore che avrebbero potuto indurre in tentazione qualche sciacallo indigeno. Normale. È così da sempre. E poi bisogna divagarsi. Non si può pensare sempre alla guerra. Non si può pretendere che la mente sia totalmente e continuamente rivolta a pensieri di guerra. Guai, guai se fosse così. Diverremmo automi, macchine assassine. Per questo esiste questa regola non scritta, che autorizza il dopoguerra, il pulire le case. E sempre per questo che i miei commilitoni si lanciarono in quest’opera di spazzamento con la prospettiva, magari, di stanare qualche bella pollastrella locale per farci l’amore. Io no. Io pensai solo alla pulizia delle case. L’attimo di piacere, quel fremito breve di morte che avrebbero potuto darmi quelle puttane l’avrei cercato con calma. Il tempo non mi sarebbe mancato e, anzi, sarebbe stato tutto più facile. Quelle troie sarebbero state talmente stanche dopo la cura dei miei compagni che le avrei trovate stremate e senza forze. Non avrei sentito le grida vergognose che, si sa, avrebbero emesse senza ritegno. Mi misi alla ricerca di qualcosa di sostanzioso, di prezioso. Cosa avrebbero potuto avere questa gentaglia e dove? La differenza tra un vero guerriero e uno ordinario, misero esecutore di ordini, sta proprio in questo: ragionare e con intelligenza intuire tutto. È questa! La mente. È questa la differenza! Ho fatto funzionare il mio cervello. Nell’indice il corso del fiume va oltre le sue competenze. La Chiesa! In quella chiesa gotico-romanica del primo novecento, sicuramente, indubbiamente, c’era un tesoro nascosto.  Calici, pisside, ostensori, aspersori, paramenti sacri, offerte votive. Non per niente ho fatto il chierichetto. Ogni ben di Dio … ho fatto la battuta. Perché, dovete sapere, questa gente crede di avere un Dio. Come se Dio fosse anche loro. Mi recai veloce verso la chiesa stile barocco fine novecento, e li trovai tutti lì a bivaccare. Quattro sopravvissuti di merda e il prete che officiava la messa, e non c’era il chierichetto. Ignoranti. Ma in Vietnam sono cattolici? Boh! Fa lo stesso. In Vietnam o chissà dove questo è accaduto. Mi avvicinai al prete. Aveva tra le mani uno stupendo calice d’oro. Quel prete non ebbe paura, evidentemente non capì. M’imbastardii di brutto. Non voleva mollare il calice. Lo feci secco senza pensarci su due volte. A colpi di mitra feci ballare quel corpo come una balla di fieno. Che spettacolo! Poi mi girai verso i fedeli impauriti, e scoppiai a ridere mentre mi facevo un assolo di mitra su quei cosi balbuzienti. Pure Toscanini avrebbe applaudito. Tra quelle buche si è soldati e generali allo stesso modo. Ricordate Annibale? Durante la prima guerra mondiale, nell’attraversare coi suoi carri armati le innevate alpi, di notte dormiva a terra coi suoi soldati, senza né materasso né cuscino e con un televisore in bianco e nero. Annibale, sì che era un generale perbene e non aveva mica attendenti. La gavetta usava per bere, e si lavava da solo forchette, piatti e bicchieri. Per questo ha vinto la prima guerra mondiale. Una volta, ad esempio, venni fatto prigioniero da un gruppo di guerriglieri. Volevano farmi la pelle. Durante la notte, il figlio del capo mi si avvicinò incuriosito, forse o soprattutto per aver saputo delle mie imprese. Cominciai a raccontargliele. Non c’è che dire. Quando racconto le mie avventure la gente resta a bocca asciutta. Affascino. Conquisto. E così, tra una cazz… gloriosa impresa e l’altra, riuscii a convincerlo e mi feci slegare. L’oratorio a me mi fa un baffo. Altro che i professori. Io affabulo con il mio oratorio e nessuno mi resiste. Il pupetto mi slegò ed io, pam, l’afferrai per il collo e gli tappai la bocca tenendolo fermo con le mani e, con le altre mani gli bloccai le gambe. A questo punto potevo andarmene ma Jonny il guerriero, Giovanni Ballarin, è fatto di tutt’altra pasta. Onore, dignità, coraggio sono le mie stelle polari. Mi feci condurre dal padre. Era a letto con la moglie. Forse avevano appena finito di fare l’amore. Quello è il momento migliore. Corpo e spirito sono rilassati e i sensi sono poco ricettivi. Lo sorpresi senza nessuna difficoltà e gli puntai contro il mitra e facendomi scudo col bambino violentai la donna sotto i loro occhi. Non contavo più i fremiti e non sapevo quale dei due, quello che mi procuravano i loro occhi terrorizzati o quella della femmina, mi desse più emozione. La troia tremava e si dibatteva. Che spettacolo! Ma il fremito dura un attimo. Presi il mio coltello e cancellai le loro vite. Avevano già fatto troppo baccano e non li premiai con il mio assolo di mitra. La guerra è importante. Aiuta l’uomo a darsi una dimensione, una identità. Chi ero prima? Mi chiamavano Jonny e basta. Ora invece sono il guerriero Jonny. Come un antico romano o come un predatore di mare che importa? L’importante è che gli altri s’inchinino e abbiano paura di me. Gli altri devono strisciare e supplicare. Figli di puttana! La guerra è importante. Chi sta in alto questo lo sa. Troppi corpi da sfamare su questa terra bucata e bacata. Tutti ammassati come formiche. Sì, l’aborto, qualche disordine, una bombetta di qua e una bombetta di la, tutto fa brodo ma sono mezzucci che servono appena a sfoltire. La guerra è tutta un’altra cosa. La guerra è l’unica ad essere seria. E io, molto modestamente, si fa per dire, assolvo a quest’impegno. Credo proprio… ma non mi fanno paura. In guerra, io e il mio mitra, ci chiamavano gli amanti dal fremito prolungato. Io e lui siamo una sola cosa, e il nostro assolo più famoso non lascia vivere nemmeno l’aria. Eravamo affiatati. Siamo affiatati. La faina si accanisce nel cercare a poppa quello che s’inerpica pei monti. Amico mio mitra forse siamo l’unica coppia al mondo a non aver mai avuto una crisi e ad amarci come il primo giorno. Mai uno screzio. Mai un ripensamento, un dubbio. Sempre insieme nella cattiva e nella mala sorte. Sei stata la voce intonata e speciale dei miei canti ed io l’educatore innamorato di questa voce. Che momenti! Memorabili!  E termina così, Jonny, il suo soliloquio mentre dalla finestra aperta giunge il canto dei passeri che lui scambia per latrati furiosi. Si accosta a quel pertugio e piuttosto che finire tra le fauci dei passeri si lancia nel vuoto.

E in un afosissimo Agosto, in questo squallido Centro Ospedaliero, è già il terzo mercenario ricoverato in TSO che muore senza che nessuno lo abbia a rimpiangere.

Descrizione dell'Opera: BALLARIN GIOVANNI detto Jonny il guerriero:<racconto/Monologo surreale. Un guerriero che confonde tempi e luoghi e vive la pazzia e l'idiozia della guerra, tormentato dai fantasmi delle sue vittime. Un viaggio nell'animo umano e tra le pieghe di una coscienza annebbiata, o forse in balia dell'auto-assoluzione comoda e insensata. Un personaggio che si muove nelle trincee di un subconscio disturbato.