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Racconto

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Il bambino con la maglietta rossa

Autore: Laura Rossi

Ed eccoci qua. No, non l’avevo messo in conto quando ho voluto, desiderato (tanto!), scelto e deciso di diventare mamma. Non l’avevo messo in conto semplicemente perché ignoravo (beata ignoranza!) l’esistenza di un posto come questo: un girone infernale per genitori insofferenti.

Festina di compleanno di Michele, 5 anni. Novembre, quindi freddo e nebbia. L’alternativa era la pioggia, quindi dove hanno deciso di festeggiare (i suoi genitori, ovviamente, mica lui)? In una specie di capannone convertito in area bimbi e riempito di gonfiabili, vasche piene di palline, tappeti elastici e scivoli.

Michele va all’asilo con Emanuele, mio figlio, perciò abbiamo accettato l’invito e portato con noi le calze antiscivolo, come specificato nel biglietto (Non mancare!). Ci sono più festine in contemporanea, con le tavolate divise tra loro da mezze pareti in cartongesso. Quanti bambini in tutto? Impossibile contarli: si muovono in continuazione da un gioco all’altro, sudati, accaldati, guance rosse e occhi che brillano, manine piene di pop corn. In ogni caso, troppi bambini.

Però devo ammettere che Emanuele si sta divertendo un sacco: si lancia tra le palline e ne riemerge ridendo, eccitato. Urla e corre da più di un’ora: stasera crollerà, però adesso se la gode proprio. Quella insofferente sono io. Ma sono in buona compagnia: i papà sono tutti a capo chino sugli smartphone; le altre mamme chiacchierano del più e del meno, soffiano nasi o infilano (invano) magliette della salute nei pantaloni. Quella insofferente, come dicevo, sono io. Perché rimpiango i tempi andati delle festine in casa e questa situazione mi sembra uno spreco, un’esagerazione. Io sono andata a scuola dalle suore, sono cresciuta con il diktat del “mai troppo” e una festina così organizzata, costosa, confusionaria, per un bambino che compie 5 anni è decisamente troppo per i miei standard, un’esagerazione appunto.

Su questo io e Fabio siamo sulla stessa lunghezza d’onda: per Emanuele niente vizi, niente spreco, qualche strappo alla regola ogni tanto, ma senza venir meno ai sani e buoni princìpi… rispetto, valore dei soldi, correttezza… E sembra che per il momento lo stiamo crescendo bene: le maestre sono contente di lui, dicono che è un bambino educato e che va d’accordo con tutti i compagni dell’asilo statale che frequenta. Pochi capricci, pochi litigi («Cose da bambini, ci sta»), poche lacrime…

Ecco, appunto. Emanuele arriva di corsa, in lacrime, a rifugiarsi tra le mie gambe. Sarà stanco morto ed ecco spiegato in 30 secondi perché piange: diagnosi materna preconfezionata, e in parte confermata dalle sue parole, alternate a singhiozzi e accompagnate da gesti goffi e scoordinati.

«Mamma, lui… Quello lì… Non mi fa salire su. Mamma…»

«Che succede? Non ho capito niente» e intanto cerco di calmarlo e soffiargli il naso (rientro pur sempre nel gruppo delle mamme).

«C’è… c’è un bambino che non mi fa salire. Non mi fa salire più. Io voglio andare sullo scivolo, ma lui non mi fa salire più…» e ancora lacrime.

Cose da bambini, per cui vorrei che se la sbrigassero tra loro: «Gli hai chiesto di farti passare?».

«Sììì» piagnucola «ma non fa passare nessuno, mica solo me. Dice che è un gioco e che ci vuole la parola d’ordine, ma a me questo gioco non piace. Io voglio salire!»

«Vediamo se riesco ad aiutarti. Stai calmo adesso. Qual è questo bambino?»

Emanuele si guarda intorno per individuarlo e indicarmelo, ma la scala dello scivolo è nascosta dai gonfiabili. Va a memoria: «è quello con la maglietta rossa».

«Dai, vieni con me e andiamo a chiedergli insieme se ti fa salire sullo scivolo.»

Non ne vuol sapere, si siede per terra e lascia che mi avventuri io (in questa giungla di giochi, gonfiabili e palline) alla ricerca del bambino che non lo fa salire sullo scivolo. Evidentemente le magliette rosse non vanno di moda, perché io non vedo nessun bambino che indossi una maglietta rossa vicino allo scivolo. Si sarà spostato? La mamma gli avrà cambiato la maglietta fradicia di sudore con una di un colore diverso? Faccio un altro giro, ma niente. Torno da Emanuele, che nel frattempo si è un po’ calmato ma non distoglie lo sguardo dal suo oggetto del desiderio: lo scivolo.

«Alla scala dello scivolo non c’è nessun bambino con la maglietta rossa: sei sicuro?»

Silenzio. Lui è sicuro, ma io pure sono certa di non aver visto nessun bambino con la maglietta rossa.

«Mamma, è un bambino con la maglietta rossa, più grande di me… Eccolo, è quello che scende dallo scivolo adesso. È lui!»

Insieme a quel bambino con la maglietta rossa scendono per uno scivolo infinitamente lungo e penoso tutte le mie convinzioni, l’alta opinione che ho di me stessa. Perché Emanuele aveva ragione: c’era un bambino con la maglietta rossa, eccome se c’era. Ma io, che ho fatto la scuola dalle suore, io che sono stata educata negli anni Novanta ai sani princìpi di rispetto, uguaglianza e solidarietà, io che alle superiori frequentavo i kollettivi con la K e all’università manifestavo per il diritto di tutti allo studio, io che mi credevo (fino a prova contraria, cioè fino a oggi pomeriggio) un genitore di ampie vedute… ecco, io quel bambino non l’avevo nemmeno considerato. Perché per me quello non era un bambino “con la maglietta rossa”, ma era un bambino “nero”, o “di colore” o al massimo “straniero”. Insomma, la sua prima caratteristica per me era quella, la sua pelle. Per Emanuele, fiducia e speranza di una nuova generazione multietnica, multicolore, multiforme, la cosa più evidente di quel bambino è invece la sua maglietta rossa, inzuppata dello stesso sudore felice di tutti i bambini del mondo quando scendono ridendo (le manine al cielo) dallo scivolo.

Descrizione dell'Opera: La disarmante naturalezza con cui le nuove generazioni affrontano la diversità rappresenta un'arma potente nell'arsenale della pace. Noi adulti sapremo preservarla o la inquineremo con i nostri pregiudizi?