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Il gatto e il topo che furono amici

Autore: Giovanni Samperisi

IL GATTO E IL TOPO CHE FURONO AMICI

C’era una volta una vecchia casa abbandonata in cui gatti e topi si facevano quotidianamente la guerra. Il territorio era conteso dai due gruppi e nessuno di essi intendeva cedere spazi all’altro. Il presidente dei gatti, sua eccellenza Cesarone, arringava ogni giorno i suoi per mantenere alta la guardia, di modo che non fosse mai che distrazione e sicumera indebolissero la felina compagine che obiettivamente godeva di un onorato blasone, meritato per la plurimillenaria lotta ai saccheggiatori dei granai. I topi, da parte loro, avevano un forte senso di appartenenza ad un popolo negletto e mal visto e proprio per questo nutrivano orgogliosi sentimenti di nobile e orgogliosa resistenza. Il generale Pomposio, il leader della moltitudine nazionale topesca, non mancava di contare quotidianamente le forze in campo e vantandosi di avere un popolo cento volte più numeroso di quello dei gatti pretendeva che, in virtù della legge dei più, la vecchia casa fosse di esclusiva spettanza dei suoi accoliti.

Pertanto, era un’insanabile questione aperta. I topi rubacchiavano ai gatti le provviste che gattare compassionevoli portavano loro, rosicchiavano le code a quelli distratti e si prodigavano in provocatorie linguacce sulle soglie delle tane troppo strette per essere violate dai nemici. Da parte loro, i gatti si vendicavano infilzando con artigli affilati le code dei topi meno svelti a defilarsi e ad appenderli alle travi del solaio come calzini da asciugare. Il tempo passava irrimediabilmente così dalla notte dei tempi.

Un giorno, un fulmine mai visto segò il cielo in due e una nube nera si addensò su quei luoghi. Seguì una fitta pioggia che prese a battere sui tetti generando un crepitio inquietante. La pioggia crebbe d’intensità, le gronde strariparono e un fiume d’acqua si abbatté sulla casa. In men che non si dica, il panico si impossessò dei suoi inquilini e tutti, gatti e topi, senza più ritegno né pregiudizi, ignorandosi e calpestandosi a vicenda, presero a correre disperatamente a destra e a manca nel tentativo di mettersi in salvo. Ma la furia degli elementi non diede loro scampo e una montagna di acqua travolse tutti.

La pioggia batté ininterrottamente la casa per tre interminabili giorni. Finché un timido sole tornò a consolare la terra ferita.

“Miaooo.”  si sentì pronunciare con vocina flebile tra suppellettili e calcinacci sossoprati dalla furia degli elementi.

“Squiiit.” gli fece eco una debole squittita.

“C’è qualcuno?”

” Ci sono io!”

“E pure io!”

Così, seguendo i richiami i due superstiti si trovarono. Erano i due ultimi nati della famiglia topina e della famiglia felina.

“Ciao.” esclamò uno.

“Ciao.” rispose l’altro.

“Chi sei? Io sono Cocò.”

“Io sono Momò” rispose il micino.

I piccoli erano due cencetti fradici e spelacchiati. Momò aveva la febbre e tremava. Cocò lamentava una ferita alla zampetta. Erano malconci, ma salvi.

Momò, benchè febbricitante, ebbe pietà del piccolo superstite e iniziò a leccargli la zampetta ferita dandogli sollievo. Anche Cocò non volle essere da meno e accostò il suo al corpicino del gatto trasmettendogli calore e sicurezza.

Momò e Cocò divennero amici e pensarono che sarebbe stato bello poter condividere gli spazi di una casa tanto grande. Così, ripararono il tetto, ripulirono le stanze, piantarono fiori arcobaleno nel giardinetto, tinteggiarono le imposte e la palizzata. Il camino, poi, venne una meraviglia e quando il fuoco iniziò a danzare sui ceppi i due amici tirarono un sospiro di sollievo e, stanchi e soddisfatti, poterono riposare.

Quindi, venne il tempo di mettere su famiglia e Momò sposò una gattina con un delizioso musetto rosa. Fu una festa senza fine. Cocò ballò senza sosta per tre giorni e l’occasione fu propizia per conoscere una topina tutta pepe che era un amore. I due convolarono a nozze poco tempo dopo.

Momò e la sua gatta ebbero tanti e tanti figli. Anche Cocò e la sua femmina ebbero una discendenza così numerosa che esaurirono tutti i nomi esistenti. Quando Cocò, vecchio e soddisfatto della vita, giunse all’ultima soglia, volle essere accompagnato dal suono del suo amato violino. Anche Momò, arrivato pure per lui il momento, chiese ai suoi numerosi figli di miagolare la melodia alla luna piena che aveva accompagnato tanti teneri momenti con la sua gatta.

Passarono innumerevoli anni dalla dipartita di Momò e Cocò ed era obbligo che la storia della comunità di Gattopolandia venisse sempre tramandata alle nuove generazioni. Questa la legge rigorosamente applicata per il bene di tutti: gatti e topi, davanti al camino d’inverno e sotto il cielo in estate, gli uni accanto agli altri, apprendevano la storia della comunità affinché questa vivesse sempre nel cuore di tutti.

La pace regnava nella comunità. Nessuno mancava di alcunché: gatti e topi erano grassi e felici, i piccoli crescevano belli e in salute.

Era una giornata di primavera quando passò di lì un venditore di sogni. Vestiva un abito così lucido che feriva gli occhi da come brillava. Parlava come un professore e la sapeva lunga sulla felicità.

“Avvicinatevi gente, a prezzi di vero favore vi porterete a casa il vostro desiderio più grande! Vuoi questo? Io te lo do. Vuoi quello? Io ti do quello. E poi? Poi c’è ancora quell’altro. La vostra vita conoscerà un benessere mai visto e una felicità smisurata colmerà i vostri giorni. In contanti o a rate non c’è alcun limite alla conquista della felicità.”

In molti si precipitarono a comprare. E molti altri si aggiunsero. Insomma, tutti vollero provare la nuova felicità che era bella sì, ma che andava comunque pagata. Così dovettero lavorare duro, ci fu meno tempo per stare con i figli e i vecchi non trovarono più l’opportunità di raccontare la storia di Momò e Cocò. Ben presto, i padri della comunità vennero dimenticati e le cose ingombrarono gli spazi della casa che ben presto risultò troppo piccola per tutti quanti. Ognuno rivendicava di più per sé e iniziarono contese e baruffe. I topi sostenevano che essendo loro i più numerosi avevano diritto a più spazio, i gatti, coscienti della robustezza dei loro artigli, pretendevano di dettare legge per tutti. Non ci volle molto che la contesa si trasformasse in guerra aperta.

Intanto il venditore di sogni, messi nel sacco i quattrini guadagnati, si preparava a lasciare la comunità.

“Vi saluto, gente, passerò di nuovo in un momento più propizio!”.

Ma nessuno si premurò di ricambiare il saluto, impegnati com’erano a lottare per il sogno di una vita migliore.