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La lettrice di nuvole

Autore: Elisabetta Cecconi

 

 

 

 

Ai sognatori e a tutti coloro che sanno cogliere la grandezza nelle piccole cose.

 

 

 

Prefazione

 

Questo libro è nato in terrazza in un giorno di sole e di nuvole.

Le ho sempre amate, le nuvole e le ho spesso osservate divertendomi a scorgerci le figure più incredibili.

Le ho amate come Sally, la protagonista di questo libro, fin dalla mia infanzia e continuo ad amarle adesso che sono anche una giovane mamma.

Sally mi assomiglia ed ha molto in comune con me: per questo siamo diventate subito amiche e quella che segue è la sua storia.

 

 

 

 

 

 

La lettrice di nuvole

C’è chi divora libri, chi legge tra le righe, chi interpreta le emozioni proprie ed altrui, chi interpella i tarocchi, chi tra le linee impresse sulle mani vede eventi futuri, chi analizza i ricordi io, leggo le nuvole.
Da quanto tempo? Probabilmente da sempre.
Da quando ancora sulle nuvole ci stavo, prima di uscire da quel mondo ovattato, morbido, accogliente; prima  di  essere catapultata in questo, di mondi.
Quando frequentavo la scuola dell’infanzia, mentre  i miei coetanei correvano ed inventavano giochi con le loro risate ed i loro schiamazzi, io cercavo un angolo appartato, silenzioso: ci vuole tempo e calma per osservare il cielo. Sgattaiolavo nel piccolo pezzo di verde dietro all’edificio, mi distendevo confondendomi in un abbraccio  d’ erba e lì,  al sicuro dal frastuono del mondo, riempivo lo sguardo di stupore.
Certo,  amavo il cielo terso della primavera, ma niente mi entusiasmava di più di uno spazio cangiante e mutevole, soffice e magico come quello di un tappeto di nuvole.
No so chi mi abbia insegnato quest’ abilità’, probabilmente è  sempre stata con  me, io la vedo come un dono.
Non solo leggo le nuvole, ma nelle loro forme mutevoli e fantastiche, scorgo il mio domani.
Alla scuola primaria ho continuato a ritenere il cielo e le sue formazioni, le mie più fidate consigliere.
Certo, ho avuto anche delle amiche con cui condividere la mia quotidianità, ma le nuvole…ecco, loro sono state le mie più fidate confidenti.
Le nuvole sanno, capiscono, custodiscono i più intimi segreti e soprattutto non tradiscono e non vengono mai meno alle promesse.
Crescendo ho affinato la mia attitudine e adesso che sono una giovane donna, posso asserire con certezza che il cielo, è  la mia seconda casa. Forse per questo vivo in un piccolo monolocale, all’ ultimo piano senza ascensore in una vecchia casa troppo calda d’estate e gelida d’inverno.
La trovai per caso un giorno che camminavo senza meta persa nei miei pensieri, col naso all’insù; o forse fu lei a trovare me. Quello che mi colpì fu un minuscolo fazzoletto piastrellato, così in alto da sfiorare il cielo. Solo dopo mi accorsi del cartello con la scritta: ” in vendita”. Quello sarebbe diventato il mio punto d’osservazione preferito: nelle giornate burrascose quando il vento cambia repentinamente il quadro che si ha davanti, come nelle estati torride, quando le nuvole sembrano placide mucche al pascolo o soffice zucchero filato. Se chiudo gli occhi, in quelle giornate,  posso sentire in bocca il sapore delle fiere di paese e tuffarmi nei colori delle bancarelle. Le nuvole hanno questo potere, ti fanno viaggiare lontano: ora in terre battute dal sole, dove oasi lussureggianti accolgono i pellegrini assetati, ora in luoghi ghiacciati, tra iceberg e capodogli, ora in isole i cui scogli sono presi  a pugni da onde furiose. Così mi sposto nel mondo rimanendo nella tasca della minuscola terrazza che tocca il cielo.
Anche di notte osservarlo ha un suo fascino: di notte le nuvole assumono aspetti inconsueti ed il loro colore non è  mai uguale.
Ci sono notti in cui la luna ricama merletti  opalescenti che è  un piacere osservare e notti senza luce: quelle sono le peggiori perché fanno riflettere e ti imprigionano in labirinti senza uscita.
Comunque sia, vale sempre la pena volgere gli occhi al cielo perché non c’è da perderci.
La mia capacità di lettrice mi ha portato lontano: so in anticipo quando lasciare lo stendino all’esterno e quando prendere dentro l’unico vaso di fiori che possa entrare in  un terrazzino di quelle dimensioni, prima che si scateni la bufera. Ma c’è dell’altro: le nuvole mi raccontano e si raccontano ed io, le ascolto.
A volte sussurrano e devo tendere l’orecchio ed aguzzare la vista perché sono impalpabili come chiffon; altre volte gridano per farsi sentire, affinché alzi lo sguardo e le legga.
Allora si svelano ed io, paziente, interpreto il loro linguaggio.
Certo, nella vita devo anche lavorare: non si mangia osservando il cielo, ma quello delle nuvole è  il mio segreto.
Lavoro in mezzo ai libri, in una piccola biblioteca che raggiungo in bicicletta.
È  un vecchio edificio, ma mi piace per  diversi motivi: innanzitutto perché si trova vicino al mio appartamento; poi perché è  silenzioso e permette ai pensieri di correre liberi ed infine perché ha finestre grandi che  permettono  di far entrare la luce e di far  correre lo sguardo all’esterno, alla giornata che si prospetterà.
Ormai mi definisco una lettrice di nuvole, oltre che di libri, naturalmente, abbastanza esperta. Anzi, dirò che c’è  una somiglianza intrinseca tra le prime ed i secondi. Sono entrambi senza voce, ma sanno dare la giusta risposta, se si è capace di ascoltare.
Ho letto molti libri ed interpretato tanti messaggi del cielo, ma di certo non ero minimamente preparata a ciò che mi sarebbe accaduto in serata.
Come sempre ho staccato alle 19.00 ed ho chiuso la biblioteca, sono saltata in sella alla scalcagnata bicicletta rossa, ormai da riverniciare, e sono volata a farmi una doccia, fermandomi prima a prendere la cena dal mio amico Shy, alla rosticceria cinese dietro l’angolo.
La serata, ormai primaverile, si prospettava mite, così ho deciso di consumare il mio riso alla cantonese seduta al tavolino ripiegabile in terrazza.
Dal vaso di fiori mi giungeva un sentore delicato, segno di una fioritura ancora acerba, ma prossima al manifestarsi. Se non fosse stato per quel rumore, forse non avrei neppure alzato la testa dal piatto. Ero affamata! Qualcuno o qualcosa stava camminando in bilico sul tetto di tegole irregolari. In un primo momento  la mia attenzione è stata colpita da due occhi magnetici: occhi di gatto.
Ma al di sopra di quegli occhi c’è n’era uno ancora più  incredibile: era l’occhio di una nuvola. Vi assicuro che quella nuvola aveva un occhio e la cosa più incredibile era che quell’occhio mi stava osservando. Era come se  richiamasse intensamente la mia totale attenzione.
Che cosa voleva dirmi? Quale messaggio poteva inviarmi quella nuvola vicino alla mia mano? D’improvviso mi sono ritrovata il gatto tra le braccia. I gatti sono sensitivi, questo è  risaputo. Forse anche lui percepiva un’ elettricità nell’aria, un non so che di misterioso che aleggiava tutt’intorno.
Le nuvole sono effimere, vanno e vengono in continuazione,  una lettrice lo sa, ma quella nuvola era come ancorata al cielo, inquietante nella sua immobilità.
Talvolta si sente parlare dell’occhio del ciclone, ma questa era tutta un’ alta cosa. Quell’ occhio era un vero occhio, non con le palpebre e le ciglia, ma era un occhio di nuvola.
Non mi era mai capitato di vederne uno e lì per lì rimasi come paralizzata, con la forchetta a metà strada tra il piatto e la bocca, spalancata dallo stupore.
L’occhio era lì e mi fissava: era una richiesta d’aiuto.
Non chiedetemi come lo capii, lo seppi e basta. Lo seppi fin nel profondo del mio essere. Fu una consapevolezza chiara e  forte, la stessa che mi spinse a cedere a quel richiamo silenzioso.
Dissi solo ” Ho capito, ci sono”.
Allora l’occhio parve distendersi, rilassarsi e poi d’improvviso scorsi un varco.
Era una scala quella che vedevo, una scala che fluttuava nell’aria tiepida di quella sera.
Una scala che mi invitava a percorrerla.
Solo i folli possono salire su una scala di nuvola, i folli ed i sognatori ed io, ero entrambi.
Così, stringendo  l’ abbraccio peloso,  poggiai delicatamente un piede sul primo gradino.
Oscillò delicatamente,  ma tenne il mio peso. Sembrava una scala fatta su misura, una scala per me. Forse, chi avesse alzato lo sguardo verso il cielo  quella sera, avrebbe visto una giovane donna avventurarsi all’interno di un varco nel cielo, una donna in bilico. Oppure, avrebbe pensato di essere impazzito e si sarebbe cucito ben bene la bocca.
Comunque sia,  al primo passo ne seguirono altri : la scala pareva la schiena di un candido drago cinese.
Mentre lasciavo il mondo alle mie spalle,  mi chiedevo dove quel misterioso cammino mi avrebbe condotta.
Non ne vedevo la fine ed ero come avvolta da morbida bambagia, un gigantesco fiore di soffice cotone.
Ad un tratto mi accorsi che ero giunta ad un bivio: sembrava che il percorso si moltiplicasse, come riflesso in innumerevoli specchi.
Mi bloccai, impietrita.
Dove sarei dovuta andare? E se poi  non fossi riuscita a trovare la strada per tornare in dietro?
Mi sentivo persa in un oblio, circondata da una nebbia impalpabile,  leggera come un velo. Le mie mani cercavano di accarezzare quel candore, provavo a stringere  un lembo di nuvola, ma non rimaneva niente di tutto ciò.
Presa nell’osservare questo mondo nuovo che lentamente mi si svelava, non mi accorsi che le scale salivano e basta: non c’erano gradini che portassero indietro.
Guardando poi con maggiore attenzione,  vidi che queste non mostravano tutte la stessa tonalità colore. Alcune erano aranciate, come se trattenessero al loro interno delicate sfumature del sole al tramonto; altre, opalescenti, davano l’idea di un’ alba ancora da manifestarsi; c’erano gruppi di nuvole delicatamente dorate che pareva imbrigliassero tenui raggi del sole. Alcune di un impalpabile azzurro, ricordavano il colore dei petali dei fiori nel mio unico vaso, ormai lontanissimo, nel terrazzino.
Mentre mi domandavo che strada percorrere, il mio amico peloso fece un balzo, si diresse verso sinistra e mi guardò.
Mi diceva chiaramente di seguirlo ed io non esitai. I suoi occhi brillavano come piccole stelle, in mezzo a tutto quel candore.
Avanzai ancora un po’, non saprei dire quanto, finché mi fermai, la bocca spalancata dallo stupore. Davanti a me, come seduta su un soffice divano c’era una figura di donna.
Un paio di décolleté con mezzo tacco spuntavano da sotto una gonna di tweed color ocra. Linee più scure si intrecciavano sapientemente lungo la stoffa.
Non potevo scorgere i lineamenti di quella figura, ma il mio cuore seppe all’istante.
Un valzer impazzito risuonò nei miei pensieri e fui travolta dai ricordi.
Se non fossero bastati i dettagli dell’ abbigliamento a riportarmi indietro nel tempo, lo fu un libro: era un libro di fiabe ed era aperto.
Le pagine si muovevano lentamente,  anche se nessuna mano le girava.
D’un tratto, il libro rimase immobile, completamente aperto su un immagine.
Un bellissimo unicorno colore dell’ arcobaleno troneggiava al suo centro.
Tornai con i giorni alla mia infanzia: conoscevo bene quel mitico destriero: eravamo amici. Dal giorno maledetto, mi aveva salvata, consolata, portata lontano dal dolore dell’abbandono.
Aveva lenito le mie ferite, limitato lo straziante senso di vuoto ed asciugato le mie lacrime; mi aveva salvato dagli incubi che per anni erano venuti a tormentarmi, a prendersi gioco di me quando, esausta,  cedevo al sonno.
I miei genitori mi avevano lasciata sola  il giorno dell’incidente. C’era solo una persona che con

amore, aveva preso i cocci di ciò che rimaneva e pazientemente  li aveva rimessi insieme: quella persona era mia nonna Lizzy e quello era il libro che mi leggeva dondolandomi tra le sue braccia.
Mi confondevo col suo profumo, mi abbandonavo nel suo unico, insostituibile abbraccio  ed ascoltavo rapita le storie che mi narrava.
L’unicorno veniva a trovarmi ogni sera, quasi fosse un appuntamento fisso; montavo sulla sua groppa e con le sue ali mi mostrava un mondo migliore.
Mi resi conto che due cose mi avevano salvata dal baratro: la vicinanza di Lizzy ed un libro.
In quel momento capii del perché avevo scelto di lavorare in biblioteca dopo la morte di mia nonna: era il rifugio sicuro del mio cuore.
La ritrovavo in ogni volume, rivedevo le sue mani che accarezzavano lentamente le pagine, percepivo la sua presenza costante accanto a me.
Non vidi il volto di Lizzy, ma percepii tutto l’amore che provava nei miei confronti: fu uno scambio di cuori così totale ed infinito che non ho parole per raccontarlo.
Capii che un giorno, ci sarebbe stata una nuvola anche per me e mi resi conto del perchè non ci fossero scale per tornare: semplicemente non sarei tornata.
Ero giunta a destinazione, avevo trovato il mio posto ed era lassù tra le nuvole che sempre avevo ammirato.
Eppure c’era qualcosa che dentro di me non accettava.
Mi trovavo nella pace, mi meritavo quella pace, ma non cedevo al suo richiamo.
Non potevo restare: questa convinzione mi colpì nel profondo.
Certamente, un domani, avrei  occupato il mio posto ed avrei avuto anch’io la mia nuvola, ma non adesso.
Da lontano mi giungevano frasi di brani conosciuti e non: erano i romanzi della biblioteca. Mi chiamavano, mi dicevano: ritorna.
È  vero, non avevo nessuno pronto ad aspettarmi, eppure sentivo l’ urgente necessità di tornare nel mondo.
Sentii che la nonna sorrideva, percepii il dischiudersi di quel sorriso, un piccolo fiore sbocciato.
Aveva lo stesso profumo dei fiori del mio vaso.
Mi voltai per tornare indietro, ma non c’erano strade, scalinate, vicoli, non c’era nessuna via d’uscita.
Strinsi le ginocchia in un abbraccio: cosa avrei fatto adesso?
Pensai a tutte le volte che mia madre mi aveva svegliato con un bacio al mattino, alla merenda che amorevolmente mi metteva nello zaino, rividi mio padre insegnarmi ad andare in bicicletta, il mio primo corso di nuoto, il concerto di Natale alla scuola primaria, il mio decimo compleanno, quando ricevetti in dono un piccolo coniglio bianco.
E poi mi assalì il profumo delle lasagne appena sfornate la domenica mattina e mi ricordai del cerotto con gli animaletti sulle ginocchia sbucciate messo da mio padre dopo una rovinosa caduta di bicicletta.
Immersa nei miei ricordi, non mi accorsi subito che  ognuno di essi aveva dato vita ad un appoggio; un morbido ondeggiante appoggio che scendeva delicatamente verso il basso.
I ricordi sono il filo che collega i mondi.
I ricordi mi avevano portata in alto, dove mai avrei pensato di poter arrivare; ma gli stessi ricordi, adesso mi conducevano nuovamente a casa, in un  universo parallelo, esistente quanto quello che lasciavo alle mie spalle.
Il gatto mi precedette, era un pioniere, lui,  e d’altezza se ne intendeva.
Non so quanto camminai, giorni, o forse minuti, poi finalmente intravidi il mio piccolo terrazzino inondato di sole. Era come se dicesse, vieni, ti aspetto,  siediti qui e volgi il viso ai primi raggi nascenti.
Quando finalmente sfiorai il pavimento piastrellato, fui invasa da un tremore incontrollabile: ero tornata a casa.
Sul piccolo tavolino ripiegabile, all’interno del vaso di coccio, era sbocciato un fiore.
Il gatto balzò sul pavimento e mi guardò complice: ormai eravamo amici.
Lo avrei tenuto, un gatto nero è  di certo una buona compagnia, pensai.
E così ci fu un nuovo inquilino peloso, nell’appartamento che sfiorava le nuvole.
Avrei avuto qualcuno che aspettasse il mio ritorno, non era Argo, ma lo considerai come il gatto di Penelope e forse per questo lo chiamai Ulisse; d’altronde era un viaggiatore fra i mondi, proprio come me!
Adesso che ero tornata, capivo di avere uno scopo: non si torna dai mondi senza un motivo.
Quale fosse il mio, ancora non mi era ben chiaro, ma la vita ha in serbo molte sorprese, se si è  disposti a coglierle.
Volsi il viso al sole ed assaporai tutto il buono di quella domenica mattina.
Quando riaprii gli occhi, per la prima volta, osservai con attenzione ciò che vedevo dall’altezza del piccolo terrazzino. Era una posizione sopraelevata: mi sentivo un gabbiano e potevo volgere lo sguardo da ogni lato.
Sotto il mio appartamento si era fermata un’ambulanza.
Non l’avevo mai notata, eppure tutti i giorni

quell’ ambulanza sostava sotto casa mia.
Cos’altro mi ero persa correndo con la scrostata bicicletta rossa?
Scrutai nel condominio accanto: in alto, vicino alle nuvole, c’era una finestra: una tenda bianca ricamata da mani esperte, era tirata.
S’ intravedeva un letto e, una sagoma di donna raggomitolata tra le lenzuola.
Chissà chi era.
Chissà quante persone, delle quali non conoscevo la vita, l’esistenza, abitavano lì, nelle loro solitudini.
Mi ripromisi di andare a trovarla, quella donna, magari anche solo una volta, magari quello stesso giorno, perché no.
Guardai nell’ armadietto della cucina. Per fortuna c’erano  ancora un po’ di latte, della farina e due uova.
Riempii un piattino e lo allungai ad Ulisse che parve gradire.

Non potevo definirmi una brava cuoca.

Il mio amico Shy, mi aveva salvato numerose cene quando stanca ed infreddolita, le sera d’inverno, tornavo dalla biblioteca pedalando sulla biciletta rossa.

Decisi comunque di preparare dei biscotti; quelli che facevo sempre con nonna Lizzy prima delle feste di Natale.

Una volta pronti, indossai la prima cosa che avevo abbandonato la sera precedente sull’unica poltrona sfondata della stanza ed uscii.
Feci tutto di fretta, prima che potessi cambiare idea.
Con in mano il piattino dei biscotti ancora caldi, salii velocemente le scale dell’appartamento di fronte.
Arrivai trafelata e suonai il campanello.
Dall’interno giunse una piccola voce di bimba.
” Chi sarà  papà?”
“Andiamo a vedere principessa” , rispose una voce maschile.
Un giovane uomo sulla quarantina aprì.
Aveva un bell’aspetto e mi pentii subito di essermi presentata in quel modo.
Non mi ero neanche data una pettinata!
Poi un musetto furbo gli si affiancò.
” Chi è  papà?”
Chiese nuovamente la piccola voce.
” Buongiorno” dissi arrossendo fino alla punta dei capelli, ma per fortuna non si notò perché ero nata con una capigliatura indomabile colore del fuoco.
“Mi chiamo Sally e sono la ragazza che abita nella casa di fronte”.
“Quella con la piccola terrazza? ”
Domandò la bambina.
Era una bella curiosona!
Come si era accorta che di fronte c’era una piccola terrazza?
” Mi scusi la valanga di domande” , disse l’uomo,

” Emi ama molto le terrazze, dice che  possono toccare il cielo…sarà perché  ha il colore dei suoi occhi”.
La osservai meglio: doveva avere circa sette anni ed era proprio una ragazzina carina.
I suoi capelli erano raccolti in due trecce sbarazzine , una spruzzata di lentiggini troneggiava su un piccolo nasino alla francese ed una  bocca di fragola sorridente, completava il suo visino sul quale risaltavano vivaci e limpidi,  due occhietti d’un azzurro intenso.
Dunque, anche lei amava il cielo.
Mi rimase subito simpatica, così, a pelle. Raramente mi capitava di percepire delle sensazioni tanto positive nei confronti di qualcuno.
I lettori di nuvole sono così: un po’ schivi e taciturni, ma grandi osservatori.
“Chi fa molte domande è curioso per natura e la curiosità è il motore di ogni cosa”, risposi di gettò. Lo pensavo davvero. Era ponendosi delle domande che gli uomini avevano trovato le più svariate soluzioni.
” Vero!” Sorrise l’uomo tenendomi la mano.
” Sono Michael, ma la prego, non rimanga sulla porta, entri, ci fa piacere”. Aggiunse.
“Michael, chi è?” Una voce non più giovane di donna ci giunse alle orecchie.
” Nonna, hai visite!” Disse subito Sally con allegria.
” È  la tua vicina di casa, vedi?” Riprese la piccola tirandomi per la manica del maglioncino.
” Emi “!  Esclamò suo padre per la troppa confidenza.
“La lasci fare, a me non disturba affatto e poi le piacciono le terrazze vicino al cielo, quindi la reputo un’amica “. Risposi sorridendo ricambiata dalla bimba.
Seduta su un letto c’era una donna di una settantina d’anni.
Aveva gli stessi occhi azzurri di Emi. La sua era un’ espressione dolce. Portava i bianchi capelli raccolti in un morbido chignon. La sua pelle chiara, mi ricordò i pallidi riflessi della luna.
” Salve, non volevo disturbarla, mi chiamo Sally ed abito nella casa di fronte”.
“Quella con la terrazza vicino al cielo”. Puntualizzò prontamente Emi.
” Proprio quella” , continuai io.
” Vorrei che non pensasse male di me ” , spiegai

” Non sbircio i vicini dalla finestra, ma è  capitato che stamattina mi cadesse l’occhio su un’ ambulanza parcheggiata sotto la sua casa. La tenda dell’ appartamento era tirata e l’ho intravista. Abito nel mio monolocale da diversi anni ormai, ma non l’ avevo mai notata.
Lavoro in biblioteca e torno a casa piuttosto tardi, forse per questo non conosco molte persone del circondario”.
” Ma per fortuna hai visto la nonna”. Asserì Emi soddisfatta.
” Già, ho pensato che le avrebbe fatto piacere ricevere dei biscotti”, dissi porgendole il piattino incartato.
” Biscotti “?! Saltò su Emi, “ quelli piacciono a me “ !
” Vuoi almeno far presentare tua nonna a Sally?” .
” Mamma mia Emi, penserà che tu sia una bambina terribile!”
Disse Michael scuotendo la testa.
“Sono una bambina terribile “? Rispose subito la piccola sgranando gli occhi nella mia direzione.
” Assolutamente no!” Dissi convinta.
” Sei una bambina perfetta a cui piace il cielo, questo ti fa guadagnare 100 punti!” Le sorrisi.
Emi, che nel frattempo si era seduta accanto alla nonna e faceva dondolare le gambe avanti ed indietro, tirò fuori la lingua verso il papà che sconsolato, si batte’ una mano sulla fronte.
” Come farò con te!” Sospirò tristemente.
” Ma se dici che sono la tua principessa!” Ribadì lei convinta.
” Le principesse non fanno le linguacce”. Le fece notare Michael.
” Questa qui sì, è  una principessa moderna!” S’impuntò Emi.
” Ecco vede?” Disse Michael indicandola.
” Uno fa tanti sacrifici, non dice parolacce, ci tiene all’educazione, cerca di essere un buon padre e questo è il risultato!”
” È  soltanto una bambina vivace” dissi strizzandole l’occhio.
” Una principessa vivace”, continuò la bimba

” ed affamata: affamata di biscotti! Nonna li

apriamo “?
” Certamente piccola mia”, disse la signora,

” ma prima facci presentare come di deve. Sono

Luna “, disse tenendomi una piccola nano delicata

” e sono molto lieta di fare la sua conoscenza “.
” E di mangiare i biscotti…” intervenne Emi che non resisteva più alla tentazione di addentarne uno.
Ripensai al nome della donna, Luna, non avrei potuto sceglierne uno più calzante.
” Mia madre è  caduta il mese scorso riportando una forte contusione all’anca. È  stata fortunata “, disse Michael.
” Sa Emi, mio figlio è  medico, è  grazie a lui se ogni giorno l’ambulanza mi viene a controllare la gamba, altrimenti avrei dovuto essere ricoverata, ma la mia presenza, qui, anche se non ottimale, è importante per Emi che ha una sicurezza quando torna a casa da scuola.
Michael fa i turni e non sempre può passare a darmi un occhio”.
” Già, ma ormai sei in dirittura d’arrivo e presto potrai rimetterti in piedi”. Concluse lui.
“Mi fa piacere che stia meglio Luna”, disse Sally con sincerità.
“Allora, questi biscotti?” Ritornò alla carica Emi.
” D’accordo signorina insistenza! Si proceda all’assaggio!” Le diede il permesso Michael.
” Forza, salta giù dal letto!”
Emi fece un balzo ed un libro scivolò sul pavimento aprendosi con un fruscio di fogli. Non l’avevo visto prima, la bimba ci si era seduta sopra.
Lo raccolsi  pronta a porgerglielo.

L’occhio mi cadde sulla prima pagina: c’era qualcosa scritta con un’elegante calligrafia: era una dedica.

“ Alla mia principessa Emi, con tanto amore, mamma”.

Sorrisi, quella bambina era davvero fortunata, pensai, poteva contare sull’appoggio di una bella famiglia. Mentre lo allungavo ad Emi, quello si aprì ed un bellissimo unicorno arcobaleno apparve in tutto il suo magico splendore. Rimasi stupefatta: conoscevo bene quella storia. Mi aveva accompagnata nei giorni più bui della mia esistenza.
Emi osservava incuriosita la mia espressione di stupore.
” Che c’è  Sally, non dirmi che anche tu conosci la storia dell’ unicorno color arcobaleno!” Disse.
”  La conosco eccome! ” Risposi.
” Questa per me è  molto più di una semplice storia, magari un giorno ti racconterò il perché “.
Risposi pensierosa.

“ Vedo che avete molte cose in comune” , disse Michael  e chiuse velocemente il discorso.

“ Ma voi non avvertite uno strano odore di bruciato”? Domandò Luna.

Aveva gli occhi lucidi, forse si era stancata troppo e la gamba le procurava dolore, pensai. Eppure sentivo che c’era dell’altro e che quel luccichio negli occhi della donna raccontava una storia. Ero una lettrice di nuvole ed un po’ di dimestichezza nel cogliere le emozioni l’avevo. Erano i  piccoli dettagli che non mi sfuggivano: un’ ombra fugace su un volto, una parola rimasta non detta, come prima, quando Michael aveva interrotto volutamente il  dialogo iniziato. Per loro sono una perfetta sconosciuta, mi dissi, sono stati anche troppo disponibili e capii che era l’ora di togliere il disturbo.

“ Oddio, il pollo!” Disse concitatamente Michael, proprio nel momento in cui avrei preso l’occasione per accomiatarmi.

“Papà, non dirmi che hai bruciato ancora il nostro pranzo!” Lo rimproverò Emi seguendolo in cucina.

“ Appena in tempo! “ Rispose lui sollevato.

“ E guarda che patatine croccanti, stavolta mi sono superato!” Continuò soddisfatto.

“ Menomale “, disse Emi rivolgendosi a me.

“ La scorsa domenica il papà ha bruciato la cena e siamo dovuti andare alla rosticceria cinese qui sotto”. Spiegò la bambina.

“ Shy “, dissi io, “ il salvatore delle serate impossibili!”

“ Anche lei è una sua affezionata cliente”? Michael alzò un sopracciglio: quella donna lo stupiva.

Aveva un non so che di selvatico e misterioso che lo incuriosivano.

“ Affezionatissima, direi. Sa, la cucina non è il mio forte, preferisco tuffarmi in una bella lettura, in quella non sbaglio mai”.

“ Già, se ho capito bene ha detto che lavora in biblioteca. Uno di questi giorni passerò a prendere qualche lettura anche per me”. Disse lui.

“ E per me!” esclamò Emi.

“ Hai dei bei libri fantasy? Dimmi di sì!”

“ Quanti ne vuoi! Su per giù direi un centinaio, ti può bastare”?

“ Un centinaio”? Emi sgranò gli occhi.

“ E ce ne sono anche sugli unicorni”?

“ Certo, sono i miei animali preferiti, signorina !” Le risposi sorridendo.

“ Anche i miei!” disse lei con entusiasmo.

“ Bene, mi sa che adesso io debba proprio andare o il vostro pranzo si raffredderà. Arrivederla signora Luna, è stato un piacere conoscerla”. Dissi allungandole la mano.

“ Arrivederci cara e grazie del pensiero”. Rispose di rimando l’anziana donna.

Mi avviai verso la porta, ma Emi mi bloccò prendendomi la mano.

“ Papà, perché non può restare a pranzo con noi? Lo dici sempre tu che cucini per un reggimento!” Propose la piccola.

“ E sia! “ Rispose Michael, “ sempre che a Sally faccia piacere”. E mi guardò sorridendo.

Mi faceva piacere? Pensai.

Sì, e molto!

Non era da me, non mi riconoscevo proprio; io abituata alla solitudine del mio monolocale vicino al cielo, accettai d’istinto, senza domandarmi nemmeno il perché.

“ Allora rotto il ghiaccio, proporrei di passare ad un tono meno formale” , propose Michael.

“ Tutto questo darsi del lei mi fa venire l’orticaria!”

“ Il tu andrà benissimo! “ Ed il mio cuore fece un balletto.

Trascorremmo un pomeriggio leggero che mi ricordò le domeniche con la  mia famiglia. Da quanto tempo non condividevo con qualcuno quest’intimità?

Andammo anche al parco: Emi non ci rinunciava mai e per finire andammo tutti a gustarci un ottimo gelato.

Il sole primaverile ammiccava e le nuvole, le nuvole cantavano o almeno, io che sono una lettrice le sentivo.

Era un canto libero che riempiva la testa di pensieri postivi.

Michael ricevette una telefonata: era un medico ed era sempre reperibile, così si allontanò per qualche minuto.

Improvvisamente Emi mi prese per mano e disse

” Sally, la vuoi conoscere la mia mamma”?

Mi colse in contropiede, non avevo pensato a questa figura femminile presente nella vita della famiglia: doveva essere una brava persona, affettuosa e disponibile.

“Chissà perché oggi non è qui con Emi”, pensai, magari lavora.

Me la immaginai come commessa, in un centro commerciale, oppure come cassiera dietro ad un bancone.

La mia testa iniziò a fare mille congetture, ma la voce della bambina mi riportò alla realtà.

“ Allora, la vuoi conoscere la mia mamma”?

“ Certamente, mi farà molto piacere”, le risposi sorridendo.

“ Allora domani dopo la scuola passa da me, affare fatto”? Emi mi tese la sua piccola mano.

“ Sei fortunata piccola: domani la biblioteca chiuderà prima per un inventario ed io tornerò prima”.

Lei battè le mani entusiasta.

“ Cos’avete da festeggiare”? Domandò avvicinandosi Michael: aveva interrotto la sua telefonata.

“ Niente papà! “ Disse Emi e mi fece l’occhiolino.

Era ormai sera quando ci salutammo: ero stata così bene in loro compagnia!

Per la prima volta, ritornare nel mio monolocale vuoto mi creò una sorta di disagio e mi chiesi il perché.

Fortunatamente Ulisse mi venne incontro ed iniziò a strusciarsi addosso a m risollevandomi il morale.

“ Adesso ho te ad aspettarmi”, gli dissi prendendolo in braccio.

Insieme ci accomodammo sulla poltrona che manteneva ancora il segno della nostra precedente presenza.

La notte ci colse alla sprovvista e quando mi svegliai, mi accorsi di essermi profondamente addormentata, ancora vestita e con Ulisse in grembo.

La giornata corse velocemente in mezzo ai miei amati libri, mi trovai impaziente a scrutare più volte l’orologio. Non mi ero dimenticata dell’appuntamento con Emi!

Chissà, magari sarebbe venuto anche Michael e mi stupii: un brivido venuto chissà da dove, mi corse lungo la schiena.

Ero emozionata all’idea di rivedere Emi, mi giustificai un  po’ troppo precipitosamente. Una voce sconosciuta dentro di me arrivò fino al mio orecchio

” Solo Emi”?

La scacciai, come si scaccia una mosca insistente.

Saltai sulla bicicletta rossa che aveva visto tempi migliori e mi diressi verso la casa della bambina. Mentre pedalavo in fretta, col vento che mi scompigliava i capelli ribelli, scoprii in bocca le note di una canzone.

Da quanto tempo non canticchiavo tra me e

me ?

Questo mi procurò una bella sensazione e decisi che l’avrei fatto più spesso.

Michael era in servizio: era stata una giornata movimentata. Al pronto soccorso dell’ospedale c’era stato molto movimento. L’ultima ad arrivare era stata una ragazzina: si era fratturato un braccio cadendo dal motorino. Mentre l’ingessava, l’uomo si accorse di un piccolo tatuaggio che spuntava dal suo polso: era un unicorno arcobaleno.

Ripensò alla domenica appena trascorsa: era stata perfetta e la compagnia ottima.

Non si accorse di conservarne il pensiero in un piccolo angolo da qualche parte dentro di lui e si trovò a sorridere, senza un perché.

Intanto Sally era giunta sotto casa di Emi che era affacciata alla finestra già da un po’.

“ Nonna c’è Sally”! Aveva gridato entusiasta, andiamo a fare una giratina”.

“ Stai attenta amore” , le rispose di rimando Luna “ e non tornare troppo tardi, lo sai che quando torna il papà ti vuole vedere”.

“ Non ti preoccupare nonna, tornerò presto!” Disse concitata la bambina con un piede già fuori dalla porta.

Scese le scale saltando i gradini a due a due. Era molto felice di presentare la sua mamma a Sally. Appena il portone si spalancò e si trovò la donna davanti le corse incontro abbracciandola.

Era bello, l’abbraccio di un bambino, pensò lei, sapeva di caramelle alla fragola e profumava di zucchero filato.

Sì, decisamente era l’abbraccio che faceva per lei. Certo, anche quello di Ulisse era un bell’abbraccio, uno di quelli morbidi che non tradiscono, ma questo batteva ogni tipologia di stretta: aveva deciso.

“ Evviva, quanto ci hai messo!” Le disse la bambina mostrando un sorriso sdentato. “ “Hai visto? Ho perso un dentino!” Continuò fiera mostrando un piccolo spazio vuoto in un mare di denti da latte.

“ Anche senza un dente sei sempre una bella principessa!” Le dissi accarezzandole i capelli.

Li aveva legati in una coda di cavallo che oscillava da una parte all’altra ad ogni suo movimento.

Ancora una volta pensò che fosse graziosa. Michael aveva gli occhi scuri, profondi, di certo quell’azzurro l’aveva preso dalla mamma.

Doveva essere una bella donna. La bimba aveva una grazia innata e dei lineamenti delicati.

Si trovò nuovamente a pensare alla madre di Emi, alla fortuna che aveva avuto e se da una parte fu felice per lei, dall’altra sentì come una piccola spina conficcarsi dentro di lei , ma non seppe dare un nome a quel piccolo dolore.

Si chiese il perché, ma si rifiutò di indagare e poi, era l’ora di andare.

Si rattristò un po’ nel constatare che Michael non c’era, forse aveva dovuto trattenersi in ospedale, pensò.

Ma fu un pensiero fugace perché Emi cominciò a strattonare il suo braccio. Aveva fretta di muoversi.

Mentre si incamminavamo lungo la via, mi misi nuovamente a pensare alla madre di Emi ed in quale negozio l’ avremmo trovata.

“ La mamma è al lavoro “? Le chiesi indagando.

“ Segreto, segreto!” Rispose lei senza aggiungere altro.

“ Seguimi e basta” Proseguì.

Intorno a noi sfilavano tutta una serie di attività commerciali: bar, ristoranti, centri estetici, parrucchieri, uffici, ma Emi procedeva a passo sicuro e non degnava di uno sguardo nessun negozio.

La mia curiosità cresceva come un’onda sospinta dal vento.

Dove mai saremmo arrivate? Magari era un’infermiera e lavorava in ospedale, mi trovai a riflettere.

Certamente era così, un classico: un bel colpo di fulmine tra il primario e la crocerossina, sì, poteva starci. Mi convinsi di questo pensiero, ma rimasi con un palmo di naso quando costeggiammo l’ospedale senza fermarci. Emi camminava spedita avviandosi verso il parco. Magari ha un chiosco e vende piadine e crepes, pensai allora.

Entrammo all’interno e  procedemmo tra gli alberi del giardino.

Era un bel parco, quello della città, un polmone verde che richiamava numerose famiglie anche dai paesi vicini. D’estate, era possibile ancora fare il bagno nel fiume. Era un lungo corso d’acqua  dove le anatre facevano il nido e giungevano numerosi uccelli migratori.  Una zona, molto più avanti, era stata dichiarata riserva protetta ed interdetta al pubblico. Ci andavano le scolaresche in gita e ci lavoravano numerosi ornitologi.

Ma c’era una zona aperta al pubblico: un pontile di legno accoglieva nella bella stagione, gli amanti della pesca e c’era anche una sorta di stabilimento balneare che offriva lettini ed ombrelloni ai gitanti della domenica.

Imponenti salici piangenti costeggiavano il lungo fiume trasformandolo in un’oasi di pace.

D’estate si sorseggiavano granite e ci si distendeva nel prato a fare deliziosi pic-nic e a prendere la tintarella.

Ero sempre più sconcertata, dove avremmo mai potuto trovare la madre di Emi?

Ad un tratto, in un punto dove l’acqua cambiava colore diventando più scura, segno di una maggior profondità, Emi si fermò.

“Qui c’è la mia mamma “, disse.

Mi guardai intorno: un’anziana signora nutriva con manciate di briciole i numerosi piccioni accorsi al rifocillamento, un uomo col cappello portava un barboncino al guinzaglio e due bambini giocavano a passarsi la palla.

“ Dove Emi”? Dissi spaesata.

“ Dove sarebbe la tua mamma”?

Allora lei mi prese per mano e mi indicò un punto appena visibile, in lontananza.

“ Eccola, è là” , rispose lei e con l’indice mi indicò un punto preciso dove si stagliava una roccia coperta di melma che appena s’intravedeva uscire dall’acqua.

Aguzzai gli occhi ed il mio cuore si fermò: sulla roccia c’era qualcosa e quel qualcosa era una croce.

Non mi uscirono subito le parole di bocca, ero sconcertata: una moltitudine di emozioni frullavano dentro di me, senza sosta, senza risposta.

“ Cosa mi stai dicendo, Emi, io non capisco “ , sussurrai appena.

“ La mamma è una sirena”, disse seria la bambina.

“ L’ha presa l’acqua, tre estati fa. Si è sentita male mentre faceva il bagno. Il papà si è tuffato quando ha capito che qualcosa non andava, è riuscito a riportarla a riva e poi di corsa in ospedale, ma la mia mamma ha preferito rimanere una sirena”.

Rispose lei convinta.

Dentro di me sentii i pezzi di uno specchio che si infrange.

Delle schegge si conficcarono nella pelle della mia anima e non riuscii a trattenere un singhiozzo.

Tutte le mie certezze, tutte le mie congetture su quella famiglia che immaginavo così unita si erano dissolte nella cruda, durissima, realtà.

Ripensai alla mia di famiglia, a quel giorno maledetto in cui quell’incidente me l’aveva strappata via.

E nel buio che scendeva lentamente su di me inghiottendomi in tutta la sua verità, trovai la consolazione che almeno Emi un papà ce l’aveva; un papà presente, un papà accanto che ti soccorre, ti insegna, ti aiuta; ed una nonna, una brava nonna. La mia di nonne mi aveva salvata, a lei dovevo tutto. Ora che anche lei mi aveva abbandonata, non mi rimanevano che la me stessa che ero ed un gatto nero.

“ E’ per questo che ami tutto ciò che è fantastico”? Le domandai “ Gli unicorni, i draghi, le sirene “?

“ Sì” .Rispose Emi.

“ Via via che cresco tante cose di lei  sono sempre meno precise. Mi piace immaginarla come una bellissima sirena. Mi ricordo che cantava per me, aveva una bellissima voce, sai?

Hai presente quel libro? Quello con l’unicorno arcobaleno? Me lo leggeva sempre mia mamma prima di dormire. E’ un suo ricordo.”

“ Lo sai Emi? E’ anche un mio ricordo”. Le confidai.

“ Vieni ora”, aggiunse prendendomi le mani.

“ Voglio farti vedere un’altra cosa”.

La seguii: quella bambina aveva una forza incredibile.

Girammo intorno al parco e ci trovammo davanti ad un cancellino di ferro arrugginito. Conoscevo bene quel posto. Un brivido mi corse lungo la schiena, mi sentivo a disagio. Un dolore sordo mi travolse.

Una lunga fila di lapidi era adagiata su un’altura. Il sole del tramonto illuminava le fotografie dei defunti. Quante storie e quante vite appartenevano a quel luogo.

Emi fece pochi passi e si inginocchiò davanti ad una di quelle.

Sulla lapide c’era scritto: ” Anne Cotton “ con la data di nascita e quella del decesso. La fotografia sotto il suo nome ritraeva il volto sorridente di una giovane donna. Era molto bella: aveva gli stessi occhi della figlia.

Una morbida cascata di capelli  incorniciava un viso dai lineamenti delicati. Le labbra sottili, la pelle candida, la stessa spruzzata di lentiggini sul piccolo naso diritto. Tutto mi riportava ad Emi. Erano due gocce d’acqua. Mi chinai alla sua altezza.

“ E’ una sirena molto bella tua mamma” , le dissi abbracciandola.

“ Grazie ” rispose lei, “ anche tu lo sei”.

“ Anch’io voglio farti vedere una cosa Emi “, le dissi,

“ Vieni”.

Lei mi allungò una mano. Facemmo pochi passi e ci fermammo di fronte ad un’altra lapide.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime.

“ Ti presento i miei genitori” le dissi “ e qui accanto è sepolta mia nonna, la nonna con cui sono cresciuta quando loro sono morti”.

Lei sgranò gli occhi.

“ Anche tu non hai più la mamma? E nemmeno il papà? E  la nonna?” Emi mi guardava sorpresa.

“ Ma allora con chi vivi? Chi si prende cura di te? Chi ti racconta le storie prima di andare a letto?”

Mi domandò.

“ Sono grande Emi, se ho voglia di una storia basta che apra un libro della biblioteca e sono in buona compagnia. Hai presente il tuo libro, quello con l’unicorno arcobaleno? Me lo leggeva sempre mia nonna.”

“ Sì ma devi sentirti sola e la notte non ti fa paura il buio? “

A dire la verità Emi da qualche giorno non sono più sola, ma ho un nuovo amico: si chiama Ulisse ed è un gatto nero”.

“Questo mi piace! “ Emi pareva più serena.

“Adesso signorina dobbiamo proprio tornare, avevi promesso alla nonna di rincasare presto, ricordi? Non vorrai mica farla preoccupare!”

“No, no povera nonnina!” Disse lei e mano nella mano tornammo indietro.

Quando arrivammo, Michael stava parcheggiando l’auto.

Appena Emi lo vide gli corse subito incontro e lo strinse in un abbraccio.

“ Vieni qui principessa! “ Disse sorridendo.

Aveva un’aria stanca, probabilmente la sua giornata era stata movimentata.

Girò lo sguardo e mi sorrise.

“ Ehi ,ma c’è anche la nostra super vicina! Arrivi giusto in tempo per la cena”. Disse strizzandomi l’occhio.

“ Non vorrei… magari un’altra volta”. Risposi facendo per andarmene.

Emi mi afferrò per un braccio.

“ Sally, resta “; mi disse speranzosa.

Come potevo rifiutare dopo quella giornata così emotivamente sconvolgente?

“ Va bene, ma per poco “. Risposi sorridendole.

“ Evviva! “ Gridò la bimba e, una volta aperto il portone, si precipitò correndo su per le scale.

“ Nonna, ci siamo, siamo tornati! Rimane a cena anche Sally”! La sua voce piena di entusiasmo eccheggiò per l’androne.

“ E’ una bambina vivace”, fece per scusarsi Michael.

“ E’ una bambina speciale e molto fortunata perché può contare su persone che le vogliono molto bene e lei lo sa “.

Michael mi guardò riconoscente.

Ordinammo del buon cibo alla rosticceria cinese di Shy che rappresentava sempre una garanzia.

Ordinammo l’immancabile riso alla cantonese, del pollo alle mandorle, involtini primavera, nuvolette di drago e biscotti della fortuna.

Anche Luna, che quella sera si era alzata per la prima volta ed era di buon umore, mangiò di gusto.

Alla fine della cena mettemmo i biscotti in un piatto e ne pescammo uno per uno divertendoci a leggere le frasi nascoste al loro interno.

“ Quello di Luna diceva: “ Avrai una vita lunga e felice”.

“ Speriamo! “ Disse lei.

“ Per il momento posso dire di averla avuta lunga e felice, con una nipotina così sono felice per forza”!

“ E di me non dici niente” ? La rimproverò il figlio ridendo.

“ Oh, certo! Tu eri scontato “!

Luna gli accarezzò teneramente una spalla.

Poi fu la volta di Emi.

“ Nel mio c’è scritto: “ Credi sempre nei tuoi sogni”.

E’ una bella frase vero papà ”?

“ Bellissima amore!” Michael la guardava sorridendo.

“ Cosa dice il tuo biglietto Sally”? Domandò allora, incuriosita Emi.

“ Adesso vediamo”, dissi srotolando il messaggio.

“ Il mondo è pieno di occasioni, coglile: le hai davanti a te”.

“Ed il tuo papà che dice”?

La curiosità di Emi era incontenibile e correva dall’uno all’altra per sbirciare il contenuto dei biscotti.

“ Strano “, disse Michael, “ c’è la stessa frase che ha appena letto Sally”.

I nostri occhi si incrociarono ed indugiarono più tempo del dovuto.

“ Bene ragazzi “ , ci riscosse Luna, per oggi mi sono mossa abbastanza, con permesso me ne vado a letto.

“ Aspetta nonna, vengo anch’io” sbadigliò Emi.

La giornata l’aveva distrutta.

“ Ricorda di lavarti i denti signorina”, l’ammonì suo padre.

“ Signorsì! “ Rispose lei mettendosi sull’attenti.

“ Lo sai papà che Sally ha un gatto nero? Si chiama Ulisse ,una volta possiamo andare a vederlo? Ti prego, ti prego, ti prego!” Disse facendo una faccina adorabile. Poi, senza nemmeno aspettare la risposta,  corse direttamente in bagno.

“ E’ l’ora di andare anche per me” ,dissi alzandomi da tavola.

“ Grazie Michael, sono stata molto bene”. Aggiunsi.

“ Sally, aspetta” disse sfiorandomi delicatamente la mano.

La ritrassi prontamente.

“ Scusa, non volevo.” Rispose lui abbassando lo sguardo.

“ Prima che tu vada, volevo chiederti come trovi Emi”.

“ E’ una bambina speciale, perché mi fai questa domanda Michael”?

“ L’altro giorno sono stato a scuola a parlare con le sue insegnanti, dicono che spesso si isola, che disegna sirene in continuazione, non so come muovermi Sally, la verità è che non so se sia un bravo padre, ecco …

Vorrei che fosse serena e faccio tutto per lei, ma forse sbaglio qualcosa…”

Sul suo volto passò un’ombra scura.

“ Michael, cosa dici, sei un ottimo papà! Da quando sono entrata in questa casa ho percepito tanto amore e respirato un clima così positivo che mi ha fatto tornare bambina. Emi mi ha portata al fiume, oggi”.

Glielo dissi perché mi sembrò naturale raccontargli del nostro pomeriggio.

Michael sembrò sorpreso.

“ Al fiume? “ domandò. “ Quindi ti ha fatto vedere…” Non riuscì a terminare la frase, le sue parole rimasero come in bilico. Ripensare a quel tragico evento lo tormentava ancora profondamente: lui che salvava le vite , non era stato capace di rianimare su moglie.

“ Dev’essere stata dura”, disse lei, con empatia.

“ Ci sono dei giorni che vorrei sparire” si confidò Michael,” andare via, lontano, da  tutto e da tutti è un momento così  maledettamente complicato Sally”.

“ Io disegnavo unicorni”. Risposi di getto.

“ Erano grandi ed occupavano tutto il foglio; oppure minuscoli, erano neri, bianchi, o completamente colorati. Avevano sempre le ali spalancate. Immaginavo di salire sulla loro groppa e loro mi avrebbero portato dalla mia famiglia, direttamente su nel cielo”.

Non interagivo con nessuno. A mensa allontanavo il piatto lasciandolo intatto. Volevo solo una cosa, la desideravo con ogni parte di me: riavere la mia famiglia.

Sarebbe tornata per Natale, mi convinsi , così scrissi la mia letterina. Non chiedevo giochi o un animale domestico, io rivolevo la mia famiglia! Ma la mia famiglia non tornò né quel Natale, né quelli successivi. Fu mia nonna a salvarmi, mia nonna Lizzy. Prese i cocci delle nostre vite e li rimise insieme dopo l’incidente. Lei è stata la mia famiglia, mi ha fatto da padre e da madre: se n’è andata l’anno scorso. Ci sono giorni che mi sembra di impazzire e quando torno nel mio monolocale, il silenzio mi travolge ed i ricordi mi fanno affogare.

Ci vuole tempo per rielaborare un lutto Michael.” Lui mi fissava impietrito.

Poi si riscosse e disse “ Sally, ti devo delle scuse, io non sapevo, non potevo immaginare che cos’hai dovuto passare…Sono qui a tormentarti, a vomitarti addosso le mie paure quando tu hai portato il sorriso in questa casa”.

“ Ti sbagli, Michael, sono io che in questa casa ho trovato un porto sicuro dove stare. Da quando vi ho conosciuti mi sento molto meno sola, capisci? “

Ci guardammo e non potemmo fare altro che scambiarci un lungo, catartico bacio.

“ Vieni, gli dissi prendendolo per mano, voglio mostrarti una cosa”.

“Sei una donna piena di sorprese, Sally”!

Fece lui di rimando, seguendomi.

Mi avvicinai alla finestra e la spalancai: l’aria fresca della sera ci avvolse portandoci il sentore di un’imminente fioritura.

“ Ecco, vedi quella nuvola? “  Dissi indicandola.

“ Assomiglia ad un drago “ osservò lui e tu sei la principessa da salvare!”

Aspetta, aspetta, mi sta parlando” continuò tendendo l’orecchio.

“ E cosa ti dice? “

“ Che sono felice Sally, sono felice dalla punta dei capelli fino alla fine del mondo”.

“ E a te cosa dice?”

Sorrisi stupefatta “ Dice la stessa identica cosa, caro Michael, sei un lettore di nuvole, proprio come me!”

“ E cosa fanno i lettori di nuvole”? Mi domandò incuriosito.

“ Attento: potrebbero trovare un varco, entrarci dentro, salire fino in cima e scoprire l’inimmaginabile”.

“ Sembra allettante”, disse lui stringendomi.

“ Ti assicuro che lo è!”

Ribattei io affondando in quell’abbraccio.

“ Allora quando troverai quel varco fammi un fischio, verrò a dare una sbirciatina”. Sorrise ed io con lui.

Così cominciai a frequentare casa Wals. Tutti i pomeriggi, dopo il lavoro in biblioteca, aspettavo che Emi tornasse da scuola. Davanti ad una bella merenda, ascoltavo il racconto delle sue giornate.

Parlavamo di tante cose. Avevo imparato qual era il suo colore preferito, il blu, neanche a farlo apposta, i piatti che più amava, la cucina cinese, proprio come me, i libri che leggeva, ma soprattutto osservavamo il cielo. Emi tirava fuori dalla scrivania un blocco da disegno e lo ritraeva.

Ora erano cieli tersi, di un azzurro limpido che facevano bene al cuore, ora scuri e tetri con nuvole cariche di pioggia.

Disegnare era il suo passatempo preferito e ritrarre il cielo divenne presto ciò che più la interessava.

Lasciava i suoi disegni dappertutto: li attaccava al frigorifero, li abbandonava in corridoio, li metteva nella borsa da lavoro di suo papà, li regalava a Luna, li appendeva alle pareti della sua camera.

Aveva fatto ordinare a Michael delle stelle adesive e le avevamo attaccate al soffitto.

Di notte splendevano ed illuminavano la stanza.

“ Guarda Sally”, diceva, “ questo è il mio cielo. Non è male avere un cielo tutto mio, vero?”

Io asserivo soddisfatta.

Una sera, mentre Emi e Luna dormivano da un pezzo, Michael si confidò con me.

“ Sally”, mi disse, “ sono preoccupato per Emi”.

“Non capisco”. Risposi io.

“ Che cosa ti preoccupa. La bambina è serena, mi racconta tante cose, ha della passioni…” Comincia a dire.

“ E’ proprio questo che mi preoccupa Sally. Quest’ossessione di Emi verso il cielo.”

“ Tutti i bambini hanno delle passioni”. Provai a spiegargli.

“ Sì, ma non questo tipo di passioni, Sally. I bambini della sua età fanno sport, suonano uno strumento, hanno un’amica del cuore”.

“ Dalle tempo” , ribadii.

“ “Emi deve rielaborare un lutto, Michael, in questo momento non puoi paragonarla agli altri bambini perché non è come loro. E’ emotivamente più fragile, ma rientra tutto nella normalità.”

“ Ho chiesto un colloquio con le insegnanti Sally, dicono che la bambina è leggermente più aperta all’interazione con gli latri, ma è un’interazione minima. Passa il suo tempo a disegnare: quello continua ad essere il sul passatempo preferito, ma sono preoccupato. Si assenta, guarda in continuazione fuori dalla finestra. Racconta storie di nuvole e disegna, disegna nuvole in continuazione, come fa a casa. Va aiutata a focalizzare la sua attenzione su qualcos’altro. Questa cosa non è sana e tu la stai fomentando. Questo non è il modo giusto di aiutarla”.

Quella fu la prima discussione con Michael dopo un anno. Cercai di rassicuralo, ma quando a notte fonda tornai nel mio monolocale, sentii il cuore pesante. Una nuvola scura copriva la  luna.

Passavano i giorni e la passione di Emi per il cielo e le sue nuvole non pareva attenuarsi.

La settimana successiva, visto che le giornate lo permettevano, fissammo di fare un pic-nic al parco.
Stesi sul prato la coperta di tweed rossa di nonna Lizzy  in modo da sentirla vicino a me, come se potesse condividere una parte della gioia che provavo.

Dal giorno della  nostra discussione, non avevamo più fatto parola delle problematiche della bambina e la situazione sembrava essersi calmata
L’aria profumata dell’ odore inconfondibile di erba tagliata. Adoravo quel profumo: per me, apparteneva intrinsecamente alla nuova stagione che giungeva. Anch’io mi sentivo rinnovata, come se di colpo, si fosse spalancata nel profondo del mio essere una finestra a lungo serrata, portando via un nugolo di polvere, tele di ragno e quell’aria di stantio che si trova nelle case disabitate da tempo.
Mi sentivo un’altra Sally, nuova, era come se  il magico, splendente  unicorno arcobaleno mi avesse donato qualcosa di sé.
Mangiammo tramezzini al tonno ed insalata, deliziosi sandwich spalmati col burro e farciti di prosciutto e torta di mele sfornata da Luna che adesso stava meglio e lentamente aveva ripreso le sue attività quotidiane, in primis la sua passione per la cucina.
Dopo il pranzo mi sdraiati seguita da Emi sulla coperta ad osservare le nuvole. Emi ci vide un enorme drago, in un’altra scorse un piccolo topolino dalle grandi orecchie e la coda sottile, in un’altra ancora notò un sontuoso castello. Michael si era recato al pontile, il suo animo nascosto di pescatore si era bruscamente risvegliato e contava di prendere qualche trota da friggere per cena.
Emi mi chiese di raccontarle una storia; allora  le dissi dell’occhio di nuvola e delle scale che portano al cielo. Rimase entusiasta. Aveva infinite domande da pormi, la sua testolina viaggiava lontano. “ Ci pensi Sally se davvero fosse possibile salire con una scala fatta di nuvole”? Si entusiasmò.

“ Sarebbe molto bello”, le  risposi sorridendo.

Michael tornò soddisfatto: stringeva orgoglioso una grossa trota.

“ E dentro il secchio ce ne sono altre tre: la cena è assicurata, care le mei donne”! Disse cingendomi la vita in un abbraccio.

“ Papà, ti piacerebbe salire su fino al cielo”?

Emi gli domandò ad un tratto sulla strada del ritorno.

“ Fino al cielo”?  Fece eco lui sorpreso.

“ Sì, non sarebbe bello poter salire su una scala ed arrivare fin sopra le nuvole “?

Insistette la bambina.

“ Da dove viene tutta questa fantasia “?

“ Sally mi ha raccontato di una nuvola con un occhio e di una scala che ti porta in alto in alto, papà”.

“ E’ soltanto una storia Emi; per quanto possa essere bella da immaginare, è e resterà una fantasticheria”. Rispose lui seccato.

“ Ma Sally dice che…”.

“ Ascolta amore, Sally racconta tante belle storie, è dotata di una fervida immaginazione, ma tu ora hai bisogno di concretezza. Le maestre mi hanno detto che disegni nuvole in continuazione e che stai poco con i tuoi compagni: devi sforzarti di stare con i piedi per terra, amore, fallo per me”.

Emi si rabbuiò e non parlò più per tutto il tragitto.

Anch’io fui taciturna: il discorso di Michael mi aveva ferita.

Non credevo che la fantasia potesse far male a qualcuno; anzi la ritenevo una buona scappatoia ed una risorsa per lenire il dolore. Naturalmente né Emi, né suo padre sapevano che il mio discorso nascondeva un fondo di verità.

Non mi ero affatto dimenticata dell’occhio della nuvola, nè tanto meno della scala e dell’incontro con mia nonna.

Ogni ricordo di quell’avventura era nitido ed incancellabile, lo avrei custodito dentro di me come un gioiello prezioso.

A cena l’atmosfera continuò ad essere cupa, nonostante Luna fosse di buon umore e le trote da lei cucinate risultassero squisite.

Quando Emi andò e letto e Luna a riposare, Michael mi parlò chiaramente.

“ Sally, apprezzo molto ciò che fai per Emi ” , disse,

“ ma in  questo periodo della sua vita, non ha bisogno di sogni impossibili; deve accettare la realtà, anche se è bello rifugiarsi nella fantasia, questo non l’aiuterà a superare i traumi subiti. Deve imparare a reagire e soltanto affrontando il dolore in tutta la sua sconvolgente, cruda realtà, potrà crescere”.

“ Un pizzico di fantasia non ha mai fatto male a nessuno” . Risposi secca.

“ Sognare aiuta, ci porta in un mondo migliore, allevia, anche se per poco, le tensioni e le angosce: è una bambina, Michael, i bambini hanno diritto di credere nei sogni”.

“ Tu non capisci Sally” , proseguì lui scuotendo la testa,

“ Emi ne ha anche troppa di fantasia. A scuola raffigura nuvole e sirene, immagina che sue madre abiti nel fiume, che altro mi dovrei aspettare adesso!

No, Sally, Emi ha bisogno di stare con i piedi per

terra ,qui nel mondo, di interagire con gli altri, di non isolarsi in un universo fatato, questo non l’aiuterà, tu non l’aiuterai in questo modo”. Il suo volto era teso e la sua voce risoluta.

Fu come se un vento gelido soffiasse dentro di me, un vento di tramontana che mi stordiva ed appannava i pensieri.

“ Ho capito perfettamente il tuo punto di vista, Michael”, dissi d’un fiato.

“ Penso di aver interpretato male ciò che diceva il biscotto della fortuna”. Proseguii ad un tratto.

“ Lo penso anch’io.” Rispose lui con convinzione.

“ Allora, io ,vado. Saluta Emi da parte mia, è una bambina straordinaria”.

“ Presumo che questo sia un addio”. Michael mi guardò freddamente.

Non c’era nessuna traccia di incertezza sul suo volto.

“ Lo penso anch’io”, dissi e senza fare rumore chiusi la porta alle mie spalle e tornai nel mio monolocale con una scheggia conficcata nel cuore.

Ulisse mi corse incontro miagolando.

Restavo ancora una volta da sola, con il mio gatto.

Durante la notte si scatenò la furia degli elementi: il vento ululava  facendo tremare i vetri sottili della finestra in cucina, che poi era anche il mio soggiorno.

Le gocce picchiavano violentemente sul tetto del monolocale, come se volessero sfondarlo.

I lampi si insinuavano con i loro bagliori tra le tende di stoffa, illuminando a giorno il piccolo appartamento ed il rumore dei tuoni, copriva i miei singhiozzi.

Mi sentivo ferita nel profondo: una bambola di pezza abbandonata, un piatto rotto, una matita spuntata, un inutile oggetto da buttare.

La mattina non si presentò in un modo migliore:

L’aria aveva abbassato la temperatura; pareva tornato di colpo l’inverno.

Non c’era traccia del cielo terso che mi aveva accompagnato nei giorni precedenti.

Tutto appariva grigio intorno e dentro di me: le strade bagnate, le pozze sull’asfalto e le nuvole.

Le nuvole mi parlavano, mi raccontavano una storia, ma non ero in grado di ascoltarle, almeno non quel giorno.

Pensai di farmi un bel caffè prima di correre al lavoro.

Misi su il bollitore e preparai la mia tazzina, quella con i gatti stampati che di solito mi metteva di buon umore, ma non sortì l’effetto desiderato.

Un buon aroma riempì il piccolo appartamento, era il bello di vivere in un monolocale, ma nemmeno questo pensiero riuscì a strapparmi un sorriso.

Stavo per versare il caffè nella tazza quando la mia mano si bloccò a mezz’aria: c’era una piccola nuvola nera adagiata sul fondo.

Era proprio una nuvola in miniatura.

La sfiorai delicatamente, era soffice ed impalpabile ed era lì per me. Voleva dirmi qualcosa, questo lo sapevo, ma non riuscivo a comprendere.

Una volta, al lavoro, in biblioteca, mi dimenticai presto dell’accaduto e la quotidianità della vita mi fagocitò nuovamente: la mia routine ricominciò a ripetersi con monotonia: casa, lavoro, casa.

Le settimane si succedevano, ma non mi accorgevo delle giornate che lentamente si allungavano, dell’estate che si prospettava alle porte, del sole che illuminava il mio piccolo terrazzino e soprattutto, delle nuvole.

Semplicemente non alzavo più gli occhi al cielo ed i miei pensieri erano lontani.

Ero diventata una persona “con i piedi per terra” , come avrebbe detto Michael.

C’erano le bollette da pagare, la bicicletta rossa da riverniciare, la casa da pulire, i panni da lavare, tutte azioni maledettamente concrete.

Certo, le nuvole, mi chiamavano, ma volutamente le ignoravo.

Essere una lettrice di nuvole era diventato un peso e non più un dono, tutto qui.

Non avevo avuto alcuna notizia di Emi, ne’ di Luna e tantomeno di Michael, ma almeno c’era Ulisse, il mio fedele Ulisse: lui tornava sempre.

Fu un tardo pomeriggio che qualcuno bussò alla mia porta. Ero sotto la doccia ed avevo avuto una giornataccia: tanto per iniziare si era forata la ruota della bicicletta; poi si era intasato il lavandino e per finire in bellezza, in mia assenza, Ulisse aveva avuto un disturbo intestinale ed avevo trovato a casa in pessime condizioni.

Dopo aver pulito tutto, spalancai la finestra per permettere al pavimento di asciugarsi.

Inizialmente pensai di essermi sbagliata. Nessuno veniva mai a trovarmi, tantomeno a quell’ora.

L’acqua calda  scrosciava sulla mia pelle portandosi via, almeno speravo, gli ultimi residui di stanchezza. L’unica cosa che desideravo veramente era indossare il mio pigiama con gli orsetti ed infilarmi nel letto.

Eppure qualcuno insistentemente continuava a bussare alla mia porta.

“ Arrivo”! Gridai per farmi sentire.

Mi asciugai velocemente e mi infilai l’accappatoio.

Una piccola pozza si stava formando ai miei piedi scalzi ed avevo lasciato dietro di me una serie di impronte bagnate.

Spalancai l’uscio con i capelli completamente bagnati.

Il viso in lacrime di Emi sbucò dalla porta.

Rimasi come imbambolata, ferma immobile, come se avessi visto un fantasma.

La bambina continuava a singhiozzare.

“ Perché non sei più venuta a trovarci ,Sally, non ci vuoi più bene”? Disse buttandomi le braccia al collo.

Mi stringeva fortemente, come se avesse paura che da un momento all’altro me ne potessi andare.

“ Emi, cosa dici, certo che vi voglio bene”! Le risposi accarezzandole i capelli.

“ No, non è vero! “ Gridò lei di rimando.

“ Non sei più venuta! Sono tanti giorni che ti

aspetto ,ma tu non veni mai, ti sei dimenticata di me!”

“ Per niente al mondo mi dimenticherei di te Emi!”

“ Allora dimmi perché sei sparita, ho fatto qualcosa di brutto che ti ha dato noia “? Continuò lei.

“ Perchè se è così, ti chiedo mille volte scusa, Sally!”.

“ Emi, non capisci, sei la principessa migliore che abbia mai incontrato, ma vedi, a volte il distacco è necessario. Ti ho raccontato tante cose, ti ho riempito la testa di fantasticherie, ma ho sbagliato. Tu sei una principessa in carne ed ossa e devi stare nel mondo reale. Io non ti ho aiutata, Emi. Ha ragione il tuo

papà , un giorno capirai”.

“ Io non ho bisogno di capire, io ho bisogno che tu mi guidi, Sally, che tu mi racconti le tue storie, che tu mi salvi!” Emi era sconvolta e non accennava a calmarsi.

“ Ascolta piccola” , le dissi con dolcezza, “ devi tornare a casa, la nonna sarà in pensiero ed il papà ti starà cercando”.

“ Non ci torno senza di te!” Rispose lei risoluta.

In quel momento Michael spalancò la porta che non avevo fatto in tempo a chiudere. Quando lo scorsi,

il mio cuore fece una capriola, come se fossi sulle montagne russe.

Era una sensazione che provavo tutte le volte che andavo al Luna park, un’ euforia che mi assaliva mentre elettrizzata e a testa in giù, scendevo in picchiata impotente, allacciata al mio seggiolino.

Pensai che fosse affascinante, ancora più affascinante di quanto la mia mente lo ricordasse.

Gli occhi di Michael indugiarono un istante nei miei.

Mi scoprì bella, con i capelli bagnati che ricadevano indomabili sulle spalle.  Una parte di lui, quella più autentica, maledisse se stesso per avermi fatta uscire così bruscamente dalla sua vita.

Ma fu soltanto un istante.

La rabbia e lo spavento  presero il sopravvento: sentiva dentro il ribollire del risentimento.

Come aveva potuto quella donna continuare a sua insaputa a vedersi con sua figlia! Sentì la forza di un’eruzione vulcanica risalirgli lo stomaco e giungere alle sue labbra.

“ Dannazione Emi”! Gridò.

“ E’ tutta la sera che ti cerco, cosa diavolo ti è venuto in mente”! Mi guardò come se fosse state mia l’idea di avvicinarla.

“ E’ venuta spontaneamente”, dissi in fretta.

“ Non l’ho più vista in tutti questi giorni, Michael ti giuro che è stata lei a cercarmi stasera. Non mi permetterei mai d’interferire nella vostra vita familiare; credevo lo sapessi”. Risposi.  Non mi riconobbi, il tono che mi uscì fu tagliente, come la lama di un coltello.

“ Sally, tu non sai che cos’abbiamo dovuto passare! La scorsa settimana le insegnanti mi hanno contattato urgentemente da scuola. Durante la ricreazione, Emi ha tentato di scavalcare la finestra.

L’hanno ripresa per un soffio e le hanno domandato il motivo di quel gesto tanto sconsiderato. E lo sai cos’ha risposto lei? Che ha visto un occhio in una nuvola, che una scala l’avrebbe portata fino in cielo, dalla sua mamma. Sei stata tu Sally, le hai messo in testa un mucchio di stupidaggini ed hai messo a repentaglio la vita di mia figlia!”

Mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Che cosa avevo fatto? Come avevo potuto mettere a rischio la vita di quella bambina che amavo in modo totale ed incondizionato?

“ Devi stare lontana da lei!”

Mi aggredì Michael.

“ Emi sta facendo un percorso psicologico, ha bisogno di tranquillità e di una quotidianità che la faccia restare con i piedi per terra”.

E poi rivolto alla bambina aggiunse, afferrandole la mano ” Andiamo, adesso basta!”

“ Ma io voglio restare qui papà! Voglio restare con Sally!” La bambina si divincolò sfuggendo alla presa e fuggì in cucina.

Michael la seguì, non l’avrebbe lasciata in quella casa un minuto di più.

Emi si appiattì contro finestra spalancata, il volto rigato di lacrime.

Una folata di vento caldo, quasi estivo, proruppe nella stanza ed una nuvola soffice, incredibilmente bianca apparve tra le tende leggere.

Ci voltammo verso quel tepore. Era come un dolce richiamo.

Percepii subito quello che stava per accadere, lo seppi fin nel profondo del mio essere.

I lettori di nuvole sono così e niente potrà strappargli il loro dono.

Potranno rinnegarlo, tentare di seppellirlo negli anfratti più bui della loro anima, ma quel dono non si estinguerà e continuerà a tormentarli perché quando si è un lettore di nuvole, lo si è per sempre, fino alla fine dei propri giorni, fino all’ultimo, debole, respiro.

Proprio lì, davanti alla mia finestra spalancata, si apriva l’ occhio di nuvola.

Mi fissava, mi chiamava, mi tentava in ogni modo possibile.

Emi lo vide subito, amava il cielo e questo bastò.

Inaspettatamente anche Michael lo scorse : mi domandai come fosse possibile che un uomo tanto razionale potesse accorgersene.

“ Hai visto che Sally dice la verità”! Gridò di rimando al padre.

L’uomo rimase attonito, la bocca spalancata dallo stupore, gli occhi sgranati di chi ha avuto un terribile incubo.

“ Dammi un pizzicotto”. Sussurrò piano rivolto alla figlia, ma Emi non lo ascoltava. Una scala di soffice bambagia si materializzò davanti a lei.

Senza nessun esitazione, si slanciò in avanti e balzò con sicurezza sul primo gradino che oscillò delicatamente sotto il suo peso, ma resse.

“ Dammi un pizzicotto” , ripetè allora Michael questa volta rivolto a Sally.

Ma neanche lei lo stava ascoltando.

“ Emi! “ Gridò, “ aspetta, torna qui, può essere pericoloso!”

“ Non mi succederà niente Sally” , rispose con sicurezza la bambina.

“Non capisco come una cosa tanto bella possa essere un pericolo”. E detto questo appoggiò il piede sul secondo scalino.

“ Un pizzicotto”? Michael si rivolse allora ad Ulisse che per contro, allungò un artiglio e gli lasciò un piccolo graffio sul polso, giusto per fargli intendere che non gli piacevano le persone come lui.

L’uomo osservò una piccola scia rossa di sangue apparire sulla sua pelle e poi nuovamente volse lo sguardo verso la finestra.

Era proprio sua figlia quella ragazzina che poggiava i piedi su un lembo di nuvola? Come se levitasse nel cielo limpido, Emi fece un altro passo. Non si sarebbe fermata, non l’avrebbero fatta tornare indietro, per nessuna ragione. Era decisa a proseguire e non avrebbe ascoltato nessuno. Nemmeno il pensiero di una futura sgridata la bloccò. Non era da tutti salire su una scala di nuvole  e lei lo stava facendo.

Allora Sally la seguì.

“Vengo con te, Emi, aspetta”, le disse avvicinandosi a lei.

Ulisse, che non voleva perdersi l’occasione di esplorare nuovamente un angolo di cielo, spiccò repentinamente un balzo accodandosi alla coppia.

Michael finalmente chiuse la bocca che era rimasta spalancata per tutto quel tempo e si riscosse come da un lungo torpore.

La sua esperienza di medico gli diceva che era praticamente impossibile salire su una scala di nuvola, ma i suoi piedi si mossero contro la sua volontà e, titubante, appoggiò la suola delle scarpe sul primo gradino.

La nuvola oscillò dolcemente per poi fermarsi sostenendolo: nonostante l’apparente delicatezza, constatò che era stabile.

Provava un una sensazione straordinaria, incredibile, era sicuramente l’esperienza più sconvolgente che gli fosse mai capitata.

Era Sally che aveva compiuto quel prodigio .Quale altro segreto nascondeva quella giovane donna così affascinante? L’aveva pensata a lungo dal giorno della loro discussione. La verità è che gli era mancata terribilmente, gli era mancata come l’aria, come una parte di sé, non c’era giorno che non l’avesse ritrovata nella sua quotidianità.

Se non l’aveva più cercata era solo per Emi, che era così piccola ed aveva diritto ad  una vita fatta di equilibrio, un equilibrio che le doveva, dopo tutto quello che aveva dovuto affrontare. Luna aveva domandato di Sally più volte, quando Emi non era presente; quella ragazza gentile le piaceva, portava l’allegria nella loro casa. Michael aveva risposto con tono evasivo ed alla fine l’anziana donna aveva smesso di fare domande. Aveva accettato il fatto che quella giovane donna, così dolce, non avrebbe più frequentato la loro famiglia.

Emi continuava a salire stupendosi dei colori meravigliosi che si stendevano davanti a lei: sfumature perlacee l’avvolgevano, fluttuava in un mare di tenui, splendide tonalità.

Anche con i suoi pastelli più belli non sarebbe mai riuscita a rappresentare quello spettacolo così straordinario.

Non sarebbero bastate le cere e neppure gli acquerelli perché ciò che si dipanava davanti ai suoi occhi era qualcosa di unico ed irripetibile.

Sally la seguiva, non le staccava gli occhi di dosso.

Non avrebbe mai permesso che le accadesse niente di male e poi conosceva le nuvole e si fidava di loro.

Una sensazione di profonda pace l’avvolse completamente.

Sentì che tutto sarebbe andato bene e dentro di sé fu grata alle nuvole per averle concesso una seconda avventura.

Ulisse si stirava, cercava di afferrare sottili fili di cielo, invano.

Comunque sia, pareva divertirsi un modo e sembrava perfettamente a suo agio nel trovarsi con le zampe in una nuvola, come se stesse muovendosi sulle tegole del tetto.

Michael chiudeva la fila e si guardava intorno ancora incredulo. Molti pazienti gli avevano raccontato di esperienze simili una volta usciti dal coma, ma lui le aveva archiviate risolutamente.

Erano di certo gli effetti delle massicce dosi di farmaci che gli venivano somministrate.

Cosa avrebbero pensato adesso quei pazienti vedendolo procedere in una via di nuvole? Forse avrebbero sorriso. Finalmente la medicina, forse avrebbe lasciato uno spiraglio aperto al mistero dell’universo.

La sua razionalità di uomo di scienza si scontrava pesantemente con una consapevolezza del tutto nuova che come uno tsunami lo travolgeva mostrandogli scenari che mai avrebbe pensato di scorgere.

Emi procedeva sicura, come se sapesse dove andare, come se fosse naturale seguire un sentiero di nuvole.

D’altronde lei, il cielo l’osservava spesso: era una piccola lettrice ancora acerba, ma sarebbe cresciuta, Sally lo sentiva, e sarebbe diventata una giovane sognatrice pronta a tendere l’orecchio, ad ascoltare ciò che  queste le avrebbero svelato.

Le nuvole avevano sempre qualcosa da comunicare, ma pochi lo sapevano, pochi alzavano i loro  occhi e si perdevano in quell’ azzurra immensità.

Avanzarono ancora: secondi, minuti, ore?  Il tempo non esisteva e scorreva in un modo tutto suo, se scorreva, poi, d’un tratto, com’era già successo la prima volta a Sally, il sentiero si moltiplicò divenendo un labirinto intricato di vie. C’erano percorsi che portavano in alto, altri che curvavano dolcemente a sinistra, altri ancora che procedevano come meandri di fiume a destra, nessuno però tornava indietro.

Emi si fermò indecisa.

Ad un tratto, un lontano baluginio color arcobaleno attirò la sua attenzione. Le ricordò l ‘unicorno della sua storia  e prese quindi quella direzione.

Ad ogni passo, i colori parevano aumentare la loro intensità finchè si raggrupparono, brillanti come polvere di stelle, intorno ad una grande nuvola solitaria.

Una figura sedeva di spalle su quel soffice tappeto, sussurrava qualcosa d’incomprensibile.

Emi si avvicinò: avrebbe riconosciuto quella voce tra un miliardo: era la voce di Anne Cotton, sua madre.

Emi le si avvicinò da prima con titubanza, poi con maggior sicurezza.

Adesso avvertiva distintamente la voce della donna: stava raccontando una storia. Era la storia dell’unicorno arcobaleno.

La raccontava per lei, non si stancava mai di ripeterla.

La sua voce triste e dolce insieme cullarono Emi come un abbraccio.

Improvvisamente la donna si voltò: era la fotocopia della figlia.

Emi le corse incontro.

Avrebbe voluto affondare nel suo abbraccio

familiare; quell’abbraccio che le mancava ogni giorno, che cercava ogni sera prima di dormire, ma le sue braccia non strinsero niente, fu un abbraccio fatto di nulla, ma allo stesso tempo fu molto più di questo; fu uno scambio di cuori.

Anne sorrise ad Emi , il suo era un sorriso pieno di luce e di  tenerezza.

Si dissero tante cose, senza dirsi niente, perché sulle nuvole funziona cosi, si parla senza parole, con il linguaggio segreto dell’amore.

Anche Michael si avvicinò. Fu un momento tutto loro, familiare ed io, mi tenni in disparte.

Non osavo interrompere quell’attimo così magico e prezioso, mi tuffavo semplicemente in quella gioia; assaporavo la sua intensità e dentro di me, un canto venuto da chissà dove mi riempiva d’immenso.

Dopo attimi che parvero secoli, Anne si volse sorridendo verso di me.

Capii che desiderava che mi avvicinassi.

Lo feci timidamente. Ci guardammo per un lungo momento: in quello sguardo non c’era rancore, ma gratitudine.

Era grazie a me se Emi l’aveva potuta rivedere, grazie a me se aveva capito di non essere sola.

Certo, avere una madre sulle nuvole non era semplice, ma molti avevano genitori lontani nel mondo.

Era la consapevolezza della loro presenza, del loro amore incondizionato, purissimo ed indissolubile, quella che contava.

Anne spostò lo sguardo da me a Michael e poi annuì sorridendo.

Allungò una mano e due nuvole si materializzarono accanto a lei.

Erano nuvole arcobaleno:  un giorno Emi e Michael avrebbero avuto il loro posto, ma non adesso.

Adesso era per loro il momento della vita: era la vita che dovevano onorare e vivere con gioia ogni giorno.

Avrei tanto voluto poter vedere anch’io i miei genitori, individuare la loro nuvola, o almeno rivedere mia nonna, ma non fu necessario.

Capii che erano lì, da qualche parte in quell’immensità e che anche per me ci sarebbe stato un posto accanto a loro, a suo tempo.

Fu Emi la prima a fare dietrofront.

Questa volta gli scalini per tornare si materializzarono da soli. Scorgemmo dall’alto il terrazzino farsi via via più vicino.

La finestra era sempre spalancata, le tendine ondeggiavano delicatamente nella brezza estiva  muovendosi come se seguissero i passi di un valzer.

Emi saltò giù con l’agilità di Ulisse che fu il secondo ad appoggiare le zampe sul pavimento  piastrellato.

Poi fu la volta di Michael che inaspettatamente mi porse la mano e con delicatezza mi aiutò  ascendere.

Quella stretta mi dette una scossa elettrica. Un piccolo fuoco  tornò a splendere dentro una parte nascosta del mio cuore.

“ Stupida, stupida ragazza sognatrice”!

Mi dissi mentre un pallido rossore risaliva il mio viso.

Emi mi riscosse dai pensieri.

Gridò entusiasta: “ Vado da nonna Luna! Le devo raccontare tutto!”

“ Emi, aspetta”! Le fece eco Michael, ma era già a mezze scale e non si voltò nemmeno a quel richiamo.

Era troppo euforica per fermarsi!

Così rimanemmo solo io e Michael nella stanza.

Un silenzio opprimente ci colse alla sprovvista.

Mi guardai le scarpe imbarazzata. Davvero non trovavo le parole.

Fortunatamente fu Michael a parlare.

“ Sally “, disse, “ dammi uno schiaffo”.

Io sgranai gli occhi sorpresa. “ Come”?!

Risposi.

“ Dammi uno schiaffo”! Ripetè lui.

“ Hai capito bene, avanti dammi uno schiaffo!”

Fu allora che qualcosa si mosse dentro di me.

Era risentimento per non essere stata capita, era umiliazione per il modo in cui mi aveva allontanato dalla sua casa, era rabbia per come erano andate le cose, insomma: era un insieme emozioni contrastanti e tutte mi spingevano nella stessa direzione.

Così io, che rimettevo le lumache finite per strada sul prato, che soccorrevo passerotti feriti ( Ulisse me ne portava diversi!), che curavo l’unica pianta del mio terrazzino come se fosse un bosco e che amavo ogni cosa dei preziosi doni che il modo ci riserva, io che aprivo la finestra per far uscire le mosche, che parlavo con gli animali, che regalavo gratuitamente un sorriso al modo, bhè, io allungai la mano e lo colpii.

Fu uno schiaffo in piena regola che gli lasciò la forma delle cinque dita e gliel’avrebbe lasciata ancora per qualche giorno.

Colpii forte e me ne stupii.

“ Accidenti Sally “ , disse toccandosi la guancia dolorante.

“ Hai la mano pesante “!

“ Oh poverino “! Dissi sarcastica.

“ Devo chiamare un’ambulanza?”

Lui ci pensò su un secondo.

“ No “, rispose “ me lo sono meritato”.

“ Certo che te lo sei meritato”!

Saltai su come punta da una vespa.

E rincarai “ Te lo sei meritato, eccome”!

“ Mi stai dicendo che mi sono comportato come un idiota “?

“ Puoi gridarlo a gran voce “!

Allora lui mise la testa fuori dalla finestra ed urlò con quanto fiato aveva in gola “ Ascoltate tutti! Quassù c’è un idiota, un perfetto idiota! Se volete vedere com’è fatto alzate la testa e lo vedrete”!

Mi sfuggì una risata. Di solito era un medico molto riservato. Doveva essergli costato.

Dall’altra parte della strada, una finestra si spalancò.

Il piccolo visino di Emi e quello più anziano di Luna comparvero incuriosite.

“ Ma che gridi papà!” Gli disse Emi.

“Sei impazzito?”

“Sì!” Rispose lui sempre gridando.

“ Sono pazzo di Sally”!

“ E menomale “! Risposero in coro Emi e Luna.

“ Certo “, disse la bimba rivolta alla nonna, “ ce

ne mettono di tempo gli uomini a capire!”

“ Tanto Emi, tanto “! Assentì la donna.

Ed ammiccando alla bambina chiuse la finestra.

“ Cos’hai detto”? Dissi sbigottita.

“ Ho detto che sono pazzo di te ,Sally ,e se non basta mi affaccio alla finestra e lo grido di nuovo a tutto il mondo”!

“ Il mondo potrebbe farti internare nel reparto di psichiatria se continui a gridare in questo modo !” Dissi sorridendo.

“ Volentieri!” Sorrise lui, “ ma insieme a te”!

Finalmente arrivò la parte dei baci, degli abbracci, delle scuse ripetute ancora ed ancora ed ancora e poi arrivò quella delle promesse.

Quella fu la mia preferita.

Finalmente dentro di me era arrivata l’estate.

Dopo una settimana il piccolo monolocale si svuotò.

Detti l’ultima occhiata al piccolo terrazzino che aveva condiviso molto segreti.

Intorno erano rimasto gli ultimi scatoloni e stringevo il mio vaso come se fosse un tesoro prezioso: mi aveva regalato una fioritura degna di una regina.

Inspirai quel profumo e mi sentii leggera; leggera come una nuvola.

Così iniziò la  mia nuova vita a casa di Michael anzi; la nostra nuova vita.

Un sabato mattina, mentre ancora mi crogiolavo nel tepore del nostro letto, Michael si affacciò alla porta della camera.

“ Principesse grande e piccola, a rapporto”! Disse.

Emi mise il naso fuori dalla sua camerina.

“ Che c’è papà”?

Disse curiosa.

“Venite con me e lo scoprirete”! Rispose con aria evasiva incamminandosi fuori.

Emi fu pronta in un baleno, poi saltò sul lettone.

“ Sei pronta Sally? Andiamo Sally?”. Cominciò a chiamarmi con insistenza mentre saltava sul letto.

Mi vestii in fetta e furia e la seguii.

Michael aveva lasciato la porta socchiusa, così uscimmo a cercarlo.

Mentre scendevamo le scale apparve un biglietto attaccato alla ringhiera: “Ancora qualche scalino e poi a destra“. Recitava.

Emi era sempre più impaziente.

Uscimmo e girammo a destra. Ci ritrovammo davanti al nostro garage.

Sul bandone c’era un altro indizio “ Entrate e stupite”!

Diceva.

Alzammo il bandone e rimanemmo senza parole: due splendide bici nuove fiammanti, una più grande e l’altra più piccola, erano affiancate al centro del locale.

Erano entrambe blu come il cielo.

“La tua bicicletta rossa è andata in vacanza”, disse Michael orgoglioso.

“ So che ci tieni molto Sally, tranquilla ,è sempre con noi , la userai per qualche scampagnata al parco. “  Appoggiato in un angolo del garage, coperto da un telo c’era proprio il mio inseparabile “ bolide “ rosso, amico di tante avventure.

“ Emi che ne dici”?

Chiese rivolto alla bimba.

“ Sei grande papà! L’adoro”!

Urlò saltando in sella.

“ L’adoro anch’io! E adoro te! E’ un bellissimo pensiero”. Dissi abbracciandolo. Gli angoli degli occhi mi si inumidirono un po’.

“ E adesso…al parco”!

Ordinò Michael.

Come se l’invito fosse rivolto a lui, Ulisse lo sentì.

Tornava in quel momento dalla sua passeggiata notturna sulle tegole del tetto, spiccò un balzo e si accomodò all’interno del cestino.

Emi si mise in testa, la pista ciclabile era sicura e poteva essere la prima, ne andava molto fiera.

La luce faceva risplendere i brillantini impressi sul telaio. Si sentiva libera, grande e felice!

Mi accorsi che sulla mia erano stampate tante,

soffici ,nuvole bianche.

Non avrei potuto desiderare un regalo migliore.

Non avrei potuto desiderare niente di migliore di questa nuova, meravigliosa famiglia.

Era una splendida giornata e l’acqua del fiume emanava riflessi argentati.

Allucchettammo le biciclette e ci distendemmo sulla coperta di nonna Lizzy. La sentivo con noi, su quel prato.

“ Sai Sally, disse ad un tratto Emi, mia mamma non è una sirena dentro il fiume: mia mamma è su una nuvola: è lassù nel cielo. Mi guarda e mi protegge”.

L’abbracciai forte. In quel momento, il sole fu coperto da una soffice venatura iridescente.

“ Sally ,mi accompagni al cimitero”?

Mi domandò poi a bruciapelo.

“ Certamente” risposi prendendola per mano.

Quando arrivammo di fronte alla lapide di Anne Cotton, la bimba vi appoggiò una collana di perline: avevano il colore del cielo.

Volle andare nlche a trovare la mia famiglia e, su ogni tomba, lasciò lo stesso dono.

La mattina dopo, Michael mi portò la colazione a letto.

Nessuno aveva mai avuto un pensiero così per me, prima di allora.

Mi appoggiò delicatamente il vassoio sulle ginocchia stampandomi un bacio che sapeva di caffè.

Su un piattino troneggiava un  bel croissant ed una tazzina da caffè chiedeva di essere riempita.

Michael alzò la mano per versarne un po’, ma si bloccò vedendo la mia espressione stupita: all’interno della tazza, c’era qualcosa dalla consistenza soffice.

Ci guardammo.

Lentamente infilai un dito sul fondo. Una dopo l’altra vennero in superficie quattro piccole nuvole.

Una era velata di azzurro, le altre tre di un delicato rosa pallido.

“ Co…cosa significa”? Balbettò Michael versando il caffè direttamente sul pavimento.

“ Ancora non hai capito?”

Gli presi la mano e delicatamente gliel’ appoggiai sul mio ventre.

Una piccola rotondità si presentò al suo tocco.

“ Non mi dire che…”.

“ Sì Michael, la nuvola azzurra sei tu, quelle rosa siamo io, Emi e…”.

“ E la bambina che verrà…” Terminò la frase lui al colmo della gioia.

Emi si affacciò di colpo nella camera.

Stava andando in bagno a lavarsi i denti ad aveva sentito la frase di Michael.

“ Quale bambina verrà papà? Mi avete invitato un’amica ? Chi? Dimmelo, dimmelo, dimmelo…”!

Insistette lei.”

“ Abbiamo fatto molto di più Emi “ ,rispose lui sorridendo e poi rivolto alla piccola “ Vieni qui, allunga una mano” …

E la guidò sulla mia pancia.

Emi sgranò gli occhi.

“ Volete dire che qui dentro c’è…”

“ La tua sorellina!” Rispondemmo insieme guardandoci emozionati.

“ C’è una sorellina in arrivo”! Gridò Emi.

“ Nonna, nonna , c’è una sorellina in arrivo”! E corse come un razzo in cucina.

Così la famiglia si sarebbe presto allargata, chissà come sarebbe stata la nostra bambina.

Lo seppi quando  sei mesi  dopo venne al modo .

Mi bastò uno sguardo. La piccola mi scrutava con i suoi grandi occhi azzurri: erano occhi di cielo, erano gli occhi di una lettrice di nuvole.

La chiamammo Sky, cielo, in lingua inglese e non ci fu  nome più appropriato.

Quando Sky compì un anno, finalmente tramite l’ agenzia, riuscii ad affittare il mio monolocale.

Era la mia unica spina nel fianco: ci avevo abitato a lungo e vederlo vuoto, scoprire il terrazzino abbandonato, scorgere la finestra sprangata, mi creava un profondo dolore.

Ma non sapevo che il monolocale aspettava; così come la prima volta aveva atteso me.

Finalmente, una mattina mi svegliai e mi affacciai alla finestra.

Di fronte, sul terrazzino, comparve un unico vaso di fiori ed accanto al vaso il viso di una giovane donna.

Era graziosa. Sedeva al piccolo tavolino ripiegabile. Ebbe da subito tutto il mio rispetto; mi piacque anche perchè, non aveva cambiato nulla di ciò che c’era prima. Così continuai a sentirlo ancora un po’ mio, il monolocale.

Mi piacque perché si godeva il sole dell’estate con la testa reclinata  all’ indietro e pareva saper godere della semplicità della vita.

La giovane donna percepì di essere osservata, alzò la testa e mi guardò. Ci sorridemmo.

“ Buongiorno, sono contenta di avere una nuova vicina.”

“ Il piacere è tutto mio “ Replicò lei. Aveva una voce fresca, sapeva di fragole e ghiaccioli all’arancia.

“ E’ una bella giornata” le dissi dalla finestra.

“ E’ un ottima giornate per osservare le nuvole”.

Mi rispose sorridendo.

“ Già “, ripetei, “ E’ d’avvero una splendida giornata per osservare le nuvole”.

La salutai con la mano e mi ritrassi dietro le tendine della camera, il cuore mi batteva all’impazzata.

Era stato il monolocale, era stato lui a cercarla: era la nuova lettrice di nuvole.

 

 

 

 

 

Elisabetta Cecconi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Descrizione dell'Opera: Sally è una lettrice di nuvole e questa è la sua storia.