Categorizzazione:

Racconto

Scritto

Funzioni:

ATTENZIONE: questa opera al momento è in Archivio. Per riportarla in biblioteca, seleziona l’opzione nella funzione “Note/Archivio”

La mensa dei giorni pari

Autore: Lorenzo Iannelli

La mensa dei giorni pari

“Ok, Big Ben ha detto stop”.

Quando comincia l’intervallo il prof parla sempre del Big Ben. Io l’ho anche visitato, il Big Ben. Sono andata due estati fa, in Inghilterra, in vacanza studio. Oddio, vacanza studio…

Ora, se il prof sentisse i miei pensieri, non perderebbe occasione per parlarmi della sua seconda figura retorica preferita. La prima è la sinestesia. È la prima anche per me. Ascoltare con le mani, assaggiare con gli occhi e guardare con le orecchie è un sogno che si realizza in poesia. Il prof ci ha dimostrato però che anche la realtà che ci circonda ne è piena. Sulle bottiglie del vino, ad esempio, nella descrizione delle qualità organolettiche e della gradazione alcolica, ne trovi a bizzeffe. Sapore asciutto e vellutato, gusto pieno e levigato, colore caldo e morbido, e così via. Dice il prof che bisognerebbe bere il vino dopo aver letto attentamente le sinestesie, perché quando lo assaggi, ne percepisci la morbidezza, come se lo accarezzassi, e ne tocchi la rotondità, come se lo abbracciassi. Invece, per quanto riguarda la figura retorica seconda in classifica, il prof dice che ne trova molti nei libri ma pochi intorno a noi. Una volta tanto potrei io stupire lui: dimostrerei che l’ossimoro non solo è intorno a noi, ma che nella fredda estate londinese l’ho vissuta per due settimane… Vacanza studio. Ossimoro perfetto. Ma dimmi tu se accanto alla parola vitale per eccellenza, quella che noi studenti bramiamo per tutto l’anno e per la quale ci alleniamo per 9 mesi, con piccoli tirocini a Natale e Pasqua, tanto per testare la nostra condizione atletica, si può appiccicare la sua negazione: STUDIO! Una specie di “morto vivente”, in cui la vacanza a stento sopravvive al mortifero studio!

Che c’entra il Big Ben con la ricreazione? Anche questo è un ossimoro. Il prof dice che dobbiamo fare degli ossimori i nostri compagni di viaggio. Che bisogna fare coesistere gli opposti. D’altronde, se in natura si attraggono, potranno pure convivere nelle nostre vite. Il prof aggiunge che perfino la scuola dovrebbe essere divertente, o quanto meno attraente… Gli vorrei dire: “Caro prof, va bene tutto, anche che la vacanza si allei con lo studio, che una follia sia lucida o un silenzio assordante, ma che la scuola possa divertire, no, questo no! Nemmeno Neruda o Gozzano avrebbero mai osato tanto!”.

Vorrei che il prof invocasse più spesso il Big Ben.

Anche oggi Matilde non ha partecipato alla merenda condivisa.

È da un mese che rispetta solo la prima delle due regole che ho imposto. Ad inizio anno le ho condivise con le famiglie dei ragazzi. Dovevano sapere che avrei fatto pagare ai loro pargoli l’inosservanza della prima: quella di portare, per la merenda della giornata, esclusivamente frutta, condannandoli senza appello al digiuno, fino al secondo intervallo, quello delle 11.50. Qualche mamma, a fine riunione, piangeva. Una ha chiesto il nulla osta. Molte hanno mantenuto un dignitoso quanto diffidente silenzio, ma tutte hanno accettato entrambe le regole.

 

Anche la mamma di Matilde, che non poteva immaginare che sua figlia avrebbe disatteso la seconda: quella di assaggiare anche la frutta del proprio compagno di banco, almeno un poco, pure solo uno spicchio di mandarino. Da quattro settimane non si avvicina nemmeno più alla mensa dei giorni pari.

Il prof non mi ha mai detto di avvicinarmi agli altri, mi ha sempre lasciata stare da sola, al mio posto. Lucia si siede alla mensa dei giorni pari con le spalle alla lavagna, così mi tiene d’occhio. Le sto di fronte, è il suo modo di stare insieme a me. Il prof aiuta quelli più imbranati a sbucciare la frutta, e quando Lucia si distrae, le dà il cambio, e butta l’occhio dalle mie parti, facendo finta di vedere chissà cosa. Quelli sono i momenti in cui mi sento in compagnia.

L’aula, alla fine della ricreazione, è più bella, più precisa, più accogliente. Per questo mi piace. Non

mi somiglia.

Quei 20 minuti di scoppiettante vitalità mi fanno stare bene. Per 20 minuti…

Liccardi dice che non si è accorto di niente, che nelle sue ore sì, un po’ di casino diffuso di tutti, ma sai, è l’età, e anche un silenzio più marcato di Matilde, ma sai, è l’età. La Perrone invece dice addirittura che con lei, ultimamente, è un po’ più aperta, più sorridente. Liccardi stava per aggiungere che forse, pensandoci bene, sarà l’età. Perrone ha ragione. Matilde scorge in lei una figura fidata, che vede con occhi tranquilli, sarà l’età… No, non è l’età.

Perrone da qualche mese sta seguendo una dieta. Ha perso una quindicina di chili per sottoporsi ad un intervento di by-pass. Le camicette le vanno larghe, i jeans hanno bisogno di più buchi alla cinta per tenerli su. Perrone ci balla nei suoi vestiti, a Matilde piace vederla ballare. Mi ha confidato di recente che vorrebbe mettersi nei suoi panni. Senza velleità di diventare all’improvviso una docente di sostegno. Non parlava in senso metaforico.

Qui tutto scorre più lentamente. Il tempo passa senza fretta e senza compiti. Non ho sostenuto test di ingresso ad inizio anno, interrogazioni durante la settimana, verifiche a fine mese, prove intermedie a fine quadrimestre. Sono arrivata qua a settembre e non mi devo preoccupare dei voti in pagella. Ho visto quei numeri scritti, ogni anno, per sette anni. Sempre uguali, più o meno, quasi tutti tra 9 e 10. All’ottavo, sono tutti spariti, di colpo. Non c’erano più. Al loro posto, accanto ad ogni materia, due lettere. Maiuscole e puntate. Numeri che si trasformano in lettere. Che strano… Tutto sommato è una cosa carina. Un 9 che si tramuta in N. e un 10 in C. Ma  allora, se N. sta per 9, per il 10 ci dovrebbe stare una D. Forse C sta per 100 e me lo volevano dare in Inglese? Quindi la vacanza studio a Londra ha funzionato? No, non è così. N. C. sta accanto anche ad altre materie. A tutte. No, non è una traduzione in lettere dei numeri. Mi hanno spiegato che in qualche caso, invece di mettere i numeri, in pagella si mettono le consonanti N e C. Nel mio, era inevitabile. Una specie di obbligo. Insomma, ero un’eccezione. Non unica. Molto rara sì. Me ne sentii subito orgogliosa! Ricordo che il prof una volta ci disse che tutti noi siamo unici: lo sforzo che dobbiamo fare è diventare rari. Lo sono diventata! E pure a mia insaputa! Un successo inaspettato. A differenza di quanto si augurava il prof, sono diventata rara senza sforzo, anche se, in effetti, non se ne poteva fare a meno. Sapete, le regole… Quando poi ho capito che ero ufficialmente, anche per lo Stato, e quindi proprio per tutti, un “Non Classificato”, beh, allora è trionfo! Ti rendi conto? Non sono classificata, quindi neanche classificabile: non sono riusciti ad imprigionarmi in una griglia, in una tabella. Fuori dagli schemi. Ma vuoi mettere! Altro che rarità: io sono un’unicità nella rarità. Certo, non c’era mica bisogno di vederlo stampato sulla scheda di valutazione per saperlo. Ben altri record avevo stabilito. Ad esempio, qui dentro l’età media è di 17 anni, con punte di 20 verso l’alto e di 15 verso il basso. Io sono l’unica che ne ha 14.

Non posso dire di stare in cattiva compagnia, tutt’altro. In camera con me ci sono ragazze carine, sempre diverse, a volte ci restano poche settimane, a volte di meno, a volte di più. Diciamo che la frequenza è saltuaria. Io sono la più assidua. Anche a scuola non mancavo quasi mai, tranne quando venivo qui, per qualche giorno. Quest’anno, in nove mesi di ricovero, non mi sono mai assentata.

Mi vengono a trovare spesso i miei, di tanto in tanto le amiche del mare, raramente i cugini che vivono fuori città. Li chiamo “I cugini di campagna”, loro non se la prendono e ridono con me. Ieri è venuto il prof. Il lunedì non va a scuola. Dice che sono pochi i colleghi che glielo chiedono come giorno libero, quando fa l’orario. Il lunedì libero, ci confidava, ti allunga la settimana: la cominci da martedì, ad arrivarci vivo alla fine… Va forte il martedì, che c’è mercato, abbastanza il mercoledì, perché spezza la settimana. Il sabato, non ne parliamo: glielo chiedono tutti, c’è la fila. Giacomino, come lo chiama confidenzialmente il prof, ci ha spiegato che il sabato ci fa apprezzare di più la domenica. Ce la prepara, ce la imbandisce, come una mensa. Il sabato è un giorno pari, guarda un po’…

Non mi avevano avvertita che sarebbe venuto. L’avessi saputo avrei chiesto di allestire la mensa. Una cosa facile, qua dentro, c’è già la sala pronta, al piano terra, accanto alle cucine. Non ci sono mai andata, in tutto questo tempo. Ci sarei scesa per la prima volta con lui, l’avremmo allestita insieme, a modo suo: tutti i tavoli al centro, attaccati uno accanto all’altro, per farne uno gigante. Poi, alle 10 meno 10, gli austeri rintocchi del Big Ben avrebbero detto stop alle nostre chiacchiere, sarebbe cominciato l’intervallo, e ci saremmo messi a sbucciare arance e mele, fino alle 10 e 10: 20 minuti di ricreazione, in tutti i sensi.

Ieri era lunedì. Con lui sarebbe stata una perfetta mensa dei giorni pari.

 

 

Descrizione dell'Opera: "La mensa dei giorni pari" nasce da un progetto di educazione alimentare, "La dieta elettronica", rivolto ad alunni di una terza media, che prevedeva una merenda sana e un'astensione dai dispositivi elettronici, per un breve periodo, per poi festeggiare tutti insieme la fine dell'anno e della dieta., come momento anche di riflessione sull'uso smodato sia del cibo che dell'elettronica. Da qui è nato lo spunto per ragionare dei disturbi alimentari e della sua pervasività negli adolescenti, con il doppio punto di vista di Matilde, l'alunna, e del suo insegnante.