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LA SEGA DELLA PACE

Autore: Rino Gobbi

Stavo scendendo con mia moglie da Campo Solagna ai Colli Alti, sopra Bassano del Grappa, quando incrociammo uno strano personaggio: sulla cinquantina, faccia inespressiva, pantaloni corti, scarpe borghesi e calzini fino al ginocchio; sembrava un tedesco. Si accodò subito a mia moglie e si mise a parlare con lei, lasciandomi interdetto. Da dietro sentivo che le raccontava una bizzarra storia accaduta sul monte Ortigara durante la prima guerra mondiale; non potei fare a meno di ascoltarla.

 

Eccola in breve: “Era inverno, e sull’Ortigara ci fu un momento in cui un plotone italiano e uno austriaco morivano più per il freddo che per la guerra, così, di comune accordo si decise di imporre una tregua affinché si potesse tagliare degli alberi per scaldarsi. Ma il plotone italiano non aveva nessuna sega, così il tenente andò a farsi prestarne almeno una dal plotone austriaco. Gli austriaci gliela prestarono, e così anche gli italiani poterono scaldarsi. Dopo una settimana, visto che gli italiani non ritornavano la sega agli austriaci, un loro sottufficiale andò con alcuni soldati alla postazione italiana per farsela restituire. I soldati italiani, amareggiati per essersi dimenticata di restituirla, per scusarsi vollero festeggiare con loro la fine della sofferenza del freddo, per questo offrirono al gruppetto austriaco del vino e del caffè. Il sottoufficiale austriaco, volendo ricambiare la cortesia, mandò un soldato prendere alcune loro provviste. Quando arrivò con della carne, patate e zucchero, il soldato si scusò per il vino che non aveva portato perché non era buono come quello italiano. Si mangiò in allegria, come buoni amici, e ci si divertiva un mondo. Alla fine, era già mattina, gli austriaci, pronti per tornare alla loro postazione, fecero intendere a gesti che non si doveva più sparare; gli italiani alzarono il dito in segno di approvazione. Appena partiti, un soldato italiano, ricordandosi della sega, corse a prenderla per restituirla, ma gli austriaci dissero che non gli serviva, ne avevano tante altre; così quella sega fu posta tra due rami di un albero là vicino come ricordo dell’amicizia tra i due schieramenti”.

 

Era una storia che seppur bella aveva un che di assurdo, per questo mi intromisi e chiesi a quell’uomo se fosse vera; mi fissò in volto come se lo avessi offeso. Allora volli sapere come avesse conosciuto quella storia. Mi riferì che era stato suo nonno a raccontargliela, che faceva parte del plotone italiano. Pensai, ma non glielo dissi, che allora era stata inventata da suo nonno: era troppo emozionante, troppo romantica. Ma io volevo sapere qualcosa di più; e lui, intuendo la mia perplessità, quasi gridò: <<Mio nonno mi diceva sempre che erano stati veramente amici, e che appena terminata la guerra, raccontando quel che gli era successo, compiaciuto esclamava sempre: “No Feinde, ma Freunde e Freude!”. Conoscevo un po’ di tedesco, e quelle parole, che a lui sembravano uno scioglilingua, dimostravano che molto probabilmente la storia era vera, perché significavano: no nemici, ma amici e gioia.

 

Gli chiesi se poi si fossero affrontati: più per avere una ulteriore conferma della storia che non per sapere se avessero rispettato l’accordo. Rispose che il suo plotone si era ritirato nelle retrovie, e che poi, avanzando con altri plotoni non avevano incontrato nessuna resistenza, segno che gli austriaci si erano ritirati. Soggiunse che passando per la loro postazione tutti videro la sega incastrata tra i rami, ma nessuno del suo plotone spiegò perché si trovasse là, c’era il pericolo di insubordinazione.

 

A un bivio, il nostro compagno ci salutò frettolosamente e si diresse dall’altra parte; così, come ci aveva incontrato ci aveva lasciato: un tipo davvero strano, che aveva raccontato una storia che meritava di essere trascritta.

 

Ebbene, dopo qualche giorno mi accinsi a scrivere il racconto. Per prima cosa navigai in Internet per scoprire qualche testimonianza di quell’aneddoto, della sega prestata dagli austriaci. Purtroppo tutti i siti che aprii riguardante la guerra sull’Ortigara non parlavano della sega. Era dunque una storia inventata? Eppure era così sincero… Poi pensai che poteva essere stato un fatto tenuto nascosto già a quel tempo, quindi non poteva essere reso pubblico.

 

Sta di fatto che vedendo quei siti compresi meglio la tragedia vissuta dai nostri nonni, perché venni a conoscenza che l’Ortigara è un monte alto 2.105 metri, che prima della guerra era alto 8 metri in più perché era stato abbassato a suon di cannonate… Quanti soldati hanno preso parte alla battaglia? 400.000. 400.000! Quasi mezzo milione! Semplicemente straordinario!  Tutti questi alpini che si arrampicano sui monti, che sparano dalle trincee, che bombardano con i cannoni… la guerra è sempre stata qualcosa di eccitante, non per niente nei libri di storia la si descrive come qualcosa di epico, di glorioso. Gli austriaci in mezza giornata hanno lanciato più di 200 tonnellate di munizioni?… Oh Dio, ma dove avranno trovato tanto ferro per costruirle? L’uomo è sempre pieno di risorse: quando occorre qualcosa lui la trova, e giustamente la usa, perché no? Se un proiettile è fatto per colpire, che sta a fare dentro un magazzino.  Colpisce un uomo? Uno come te?… Ѐ naturale, vuoi che colpisca un animale?  Che senso ha colpire un animale, è indifeso, non c’è soddisfazione…

 

Sì, ho capito l’orrore, ma il racconto che devo scrivere?… Lo scriverò pari pari come l’ha raccontato quell’individuo… Ma quanti uomini sono morti nell’Ortigara?… 25.000! Mamma mia che numero! Ma non tanto grande come quello che può contenere uno stadio di calcio, dove ci possono stare anche 80.000 tifosi. Beh, allora se sono solo 25.000 caduti non sono tanti: perché meravigliarsi, la guerra è guerra! Non ci si va per giocare a carte, i soldati questo lo sanno, e sanno anche quello che li aspetta; se non provi anche tu l’ebbrezza del martirio vuol dire che sei un renitente, un vigliacco, che eviti il grandioso spettacolo della guerra. I comandanti sapevano cosa volevano: vedere lo spettacolo!

 

Che abbiano fatto apposta a impartire ordini caotici, contrordini, ordini insensati per mandare al macello i loro soldati?… Infatti la battaglia fu inevitabilmente persa, colpa dei comandanti.

 

Ma perché ci fu quella battaglia contro gli austriaci? Sempre su Internet vedo che è dipesa dalla spedizione punitiva dell’Austria contro l’Italia che aveva disconosciuto la Triplice Alleanza con gli Imperi Centrali… Cosa conta, ormai quel che è stato è stato e la battaglia sull’Ortigara l’abbiamo persa, così possiamo onorare le vittime che si sono sacrificate perché mandate al macello: giovani che se fossero stati vivi non li avremmo onorati, non ci sarebbero state celebrazioni, e tanto meno emozioni. Quei 25.000 soldati si sono sacrificati per la patria: ah, quanta contentezza delle mamme, dei papà, dei fratelli, delle sorelle, delle mogli! Si trovavano a essere i familiari di un eroe, che sarebbe stato ricordato negli anni a venire, magari con il nome scritto su qualche sacrario…

 

Riuscii a tornare al racconto di quel bizzarro personaggio: era troppo bello per non doverlo metterlo per iscritto. Merito di una sega, che per una settimana sul monte Ortigara ha creato la pace, l’amicizia tra soldati nemici, all’oscuro dei loro comandanti. Quel fatto doveva assolutamente restare nella mia memoria; infatti lo scrissi perché la storia della sega era sì bizzarra, ma esemplare.

 

Ora le due paginette sono di fronte a me, e il pensiero va alle guerre ancora in corso in questo mondo caotico che non sa vivere senza conflitti. Forse il racconto può servire da deterrente alla guerra e se, come scrisse Hemingway, “La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. Così, anche se un solo individuo leggesse la storia dell’uomo incontrato in montagna, è come se tutto il mondo l’avesse letta, e forse anche questo servirebbe alla pace. Quindi… su, un piccolo sforzo e inviamo questo racconto.