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La sera che partì mio padre

Autore: Luisa Benelli

La sera che partì mio padre
7 anni troppo pochi per ricordare, troppi per dimenticare: mestamente le parole uscivano soffuse da sotto i baffi. “Vieni siediti sulle mie ginocchia” disse … Ero troppo grande ma quella volta capii che non potevo esimermi dal farlo. “Sai, io e la mamma ne abbiamo parlato, tu ormai sei grande, qui non c’è lavoro” Non riuscivo a capire dove volesse arrivare: erano ormai due anni che la nostra vita era passata dalle merendine al pane raffermo ma non mi ero mai lamentato. L’amore della nostra famiglia colmava in ogni momento la fame. Le scarpe vecchie andavano ancora bene e anche se ero cresciuto i pantaloni un po’ corti andavano di moda. La mamma sorrideva quando papà mi faceva volare in alto, la mamma sorrideva quando papà stanco e sfiduciato tornava a mani vuote. Lei, come dal cappello magico del prestigiatore trovava l’ennesima scatola di fagioli, ne elencava le proprietà energetiche e li cucinava in modo sempre nuovo. Papà li assaporava lentamente e trovava la voglia di sentirsi felice. Quella sera però il solito piatto avrebbe avuto un sapore triste: papà sarebbe partito. Aveva sentito che l’esercito reclutava soldati per la Siria e per dare un futuro alla nostra famiglia aveva deciso che quella sarebbe stata la sua casa per i prossimi tre anni. Appena riuscii a capire, scesi dalle sue gambe e con un balzo corsi fuori sbattendo la porta. La sera incombeva sulla città quasi deserta: sentivo la voce della mamma che m’intimava a ritornare ma nascondermi in un cespuglio del giardino mi sembrò l’unica soluzione. Non pensare, non piangere, ponderare ciò che di positivo questa partenza poteva avere, non piangere … Rannicchiato tra le foglie, mi lascai andare alla disperazione: cercavo di trattenere i singhiozzi ma le lacrime ebbero presto la meglio e cominciarono a scrosciare copiose. Sentivo i passi dei miei genitori vicini: mi stavano cercando. Avevo deciso: non mi avrebbero trovato, ero troppo arrabbiato. A mia insaputa avevano deciso, ma come potevano aver pensato che qualche soldo avrebbe colmato il vuoto ?La Siria era lontana e la guerra non era quella dei film e dei videogiochi, i fucili, le bombe e gli spari non scappavano con le persone. Ogni giorno papà sarebbe stato immerso nella paura e galleggiare non sarebbe stato facile. Ed io? Avevo solo 7 anni nuotavo a malapena e forse papà non sarebbe tornato per insegnarmi a farlo. Cominciava a fare freddo, le foglie mosse dal vento graffiavano le mie gambe, il buio mi terrorizzava, volevo urlare “sono qui ma tornerò solamente se papà rimarrà con me” ma non trovavo la forza per farlo. Appena però sentii la mamma che diceva che avrebbe chiamato la polizia mi feci coraggio e a capo chino uscii dalle fronde. Papà mi abbracciò e strinse forte: sentii il suo abbraccio carico di preoccupazione. Riempì il mio viso di baci umidi di angoscia poi mi prese per mano e mi accompagnò a casa. L’indomani sarebbe partito e quella notte nessuno l’avrebbe mai dimenticata. Restammo stretti per ore con la promessa di ricordare quell’abbraccio per sempre. Mio padre aveva scelto di partire non per pochi soldi che avrebbero comunque cambiato la nostra vita ma per salvare persone, per portare speranza, per far sorridere qualcuno con una semplice scatola di fagioli, per insegnare a nuotare a un bambino che aveva voglia di un papà anche se preso in prestito. La sera che mio padre partì lo salutai dalla finestra, il silenzio graffiava l’anima, avevo gli occhi lucidi ma tanto orgoglio nel cuore.