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L’ARTE DELLA GUERRA E L’ARTE DELLA PACE in una lettera di fr. Simon, monaco missionario.

Autore: Carmine Natale

«La guerra è il Tao dell’inganno.»

(Sun Tzu, L’Arte della Guerra)

 

Borgo San Francesco da Paola, 21/3/2012

Caro Olivier,

nelle ore della notte, riesco finalmente a trovare un attimo di tempo per rispondere al tuo messaggio di posta elettronica di ieri. Ti confesso, però, che la mia mente, in questo momento è molto confusa. In alcuni momenti della giornata si sovrappongono le preoccupazioni sugli sviluppi del caso “Riondir” che mi hai prospettato con l’ansia di risolvere, nel modo migliore, le questioni legate allo sbarco dei migranti che ieri abbiamo accolto a Borgo San Francesco da Paola. In genere, quando avvengono questi sbarchi prendiamo subito conoscenza di storie drammatiche di persone che hanno estrema necessità di essere curate ed assistite. Sono storie che appaiono, a prima vista, del tutto diverse e scollegate con il caso che tu mi hai segnalato. Riflettendo, però, scopro che, in realtà, queste vicende sono legate da un unico filo conduttore: il lavoro. Ieri ho conosciuto, infatti, Nalini una ragazza indiana che mi ha raccontato molto brevemente i motivi che l’hanno spinta ad emigrare dal suo Paese di origine per tentare di migliorare le sue condizioni di vita. Questa giovane donna aveva ed ha la necessità di trovare un lavoro dignitoso, uno sbocco diverso per la sua difficile esistenza. Ha lavorato sin dall’età di 15 anni in una fabbrica tessile per 12- 15 ore al giorno in condizioni malsane e quasi di schiavitù. Mi ha raccontato di aver subito gravi lesioni per essere stata picchiata dal suo supervisore e di essere stata espulsa dalla fabbrica per aver preso le difese di un’amica maltrattata e violentata. Ha deciso, pertanto, di fuggire dal suo Paese e di non tornare più nell’inferno di quelle fabbriche in cui aveva lavorato. Nella tua lettera mi chiedi se di fronte a queste vicende tristi di lavoro come quella di André o di Nalini possiamo ancora continuare a credere che un altro mondo è possibile e trasmettere questa convinzione ai nostri figli. A questa domanda difficile ti rispondo dicendoti che, nonostante tutto, continuo a pensare come Dorothy Day che “l’uomo che lavora con le mani e con la testa è una persona integrale. È un co-creatore che prende le materie prime fornite da Dio e crea cibo, vestiti, riparo e ogni sorta di cose belle” 1. L’acquisizione di questa consapevolezza mi aiuta a capire che forse per superare queste situazioni negative in cui siamo coinvolti ogni giorno, dobbiamo cercare di cambiare i nostri orizzonti culturali e di vita, la formazione imprenditoriale e dei giovani che si affacciano, per la prima volta, nel mondo del lavoro. Ti faccio un piccolo esempio per spiegarmi meglio e per essere più concreto. Durante la mia esperienza di ricercatore universitario in ambito aziendale ho avuto modo di appurare che uno dei testi più studiati dai manager era “L’arte della Guerra” di Sun Tzu”, il manuale del leggendario stratega e filosofo cinese del VI sec. a.C.  molto utilizzato, in genere, da chi vuole raggiungere un obiettivo nella vita: il manager che insegue la carriera, il militare che vuole scalare la gerarchia, lo sportivo che vuole vincere a tutti i costi. Ebbene io sono convinto che l’applicazione in azienda degli insegnamenti contenuti in questo libro non aiuti ad evitare situazioni che generano una conflittualità esasperata come quelle che mi hai ricordato nel tuo messaggio. La vita non è una guerra, l’altro non è un nemico da annientare e sconfiggere. 2. Bisogna, a mio parere, abbandonare una cultura aziendale basata sull’arte della guerra per fare spazio, invece, ad una cultura aziendale basata sull’arte della pace. Ti assicuro che non è utopia. Credo che una soluzione a questi gravi problemi che riguardano il mondo del lavoro ci possa venire proprio dal pensiero e dalla testimonianza di Gandhi, il grande profeta della pace vissuto in India, il Paese da cui proviene Nalini. Recenti studi aziendali hanno documentato, infatti, gli ottimi risultati raggiunti dall’applicazione del metodo di Gandhi, sperimentato in tutti i campi: dai litigi in ambito familiare, alle dispute sul luogo di lavoro, alla guerra contro il fanatismo religioso. Il suo metodo “satyagraha” per risolvere i conflitti rappresenta una valida alternativa a quella che è la normale prassi aziendale basata sulla mera contrapposizione tra le parti e sulla misurazione dei rapporti di forza all’interno dell’azienda. Esistono esperienze concrete dei risultati positivi che l’applicazione di questo metodo può portare nelle controversie aziendali incoraggiando tutti coloro che sono parti di un conflitto ad immaginare soluzioni capaci di includere gli aspetti migliori delle posizioni assunte dalle due parti per poi combattere in modo coerente con questi obiettivi incorporando la soluzione nella lotta stessa. Il mio amico Alphonse Bertis mi ha confessato, in una delle sue lettere, di aver studiato, in alcuni seminari di formazione aziendale, l’applicazione del metodo “satyagraha” nella gestione del personale e di aver cercato di applicarlo proprio nel caso di André, l’operaio ingiustamente licenziato perché in preda ad una forma di esaurimento nervoso. Alphonse aveva trovato la soluzione per favorire il recupero psicofisico di questo lavoratore e previsto la concreta possibilità di un suo inserimento in un’attività lavorativa compatibile con il suo stato di salute e con le sue competenze professionali. Riondir, però, come titolare dell’azienda, si è opposto fermamente a questa proposta di recupero e ha preferito procedere all’immediato licenziamento di Andrè per eccessiva morbilità ed insufficiente rendimento. Ha proceduto, inoltre, alla contestuale revoca dell’incarico dirigenziale di Alphonse non ritenendolo più in grado di svolgere le sue funzioni di capo del personale. Le conseguenze di questa grave decisione sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Mi rendo conto che la strada per attuare questo cambiamento culturale che io sto prospettando e che riguarda, in generale, tutte le scelte più importanti in campo economico e del lavoro è in tutta salita ma dobbiamo provarci perché, per fortuna, le esperienze positive non mancano. Mi viene in mente, in tal senso, proprio l’esperienza di Yunus. Questo professore, nel 1972, diviene capo del Dipartimento economico dell’Università di Chittagong nel Bangladesh. Nel 1974, il suo Paese è colpito da una grave carestia. Il professore ogni mattina varca la porta del dipartimento universitario, lasciandosi alle spalle una miriade di mendicanti. È da questo momento che Yunus comincia a sentirsi a disagio nel ruolo di professore di economia perché capisce che la montagna di teorie acquisite in anni di studio sono distanti ed estranee al mondo di miseria che lo circonda. Ed è così che studia e applica il microcredito che libera il povero dalla fame e dalla soggezione politica. Nel 2006, Muhammad Yunus viene insignito del Premio Nobel per la pace con questa motivazione: «per l’impegno nel creare sviluppo sociale ed economico partendo dal basso. La pace duratura non può essere realizzata se ampi gruppi di popolazione non trovano il modo per uscire dalla povertà. Il microcredito è uno dei modi. Lo sviluppo dal basso serve anche a promuovere la democrazia e i diritti umani. Col tempo, il microcredito si è mostrato una forza liberatrice in società dove le donne in particolare devono lottare contro condizioni economiche e sociali repressive. Voglio, per concludere il mio ragionamento, citare anche un pensiero della grande scrittrice Simone Weil: «Per quanto riguarda le fabbriche, la questione che mi pongo completamente indipendente dal regime politico è quella di un passaggio progressivo dalla subordinazione totale ad una certa mescolanza di subordinazione e di collaborazione, l’ideale essendo la cooperazione pura» 3. Sono convinto che il messaggio potente contenuto in questo pensiero e le positive esperienze che ti ho citato possano avere ulteriori risvolti importanti in campo economico, sociale e del lavoro e trovare utile spazio nella formazione delle future generazioni. Continuo a credere, quindi, che un mondo diverso è possibile. Nulla ci impedisce di dar vita ad imprese economiche in forma associativa, fondate sul co-operare, sul fare insieme. La cooperazione rappresenta, secondo me, una scelta attiva e fiduciosa nella possibilità di poter partecipare da protagonisti e non da semplici subordinati alla crescita dell’economia e della ricchezza nelle realtà locali dove viviamo. Questo è quello che penso.

Ora ti lascio perché si è fatto tardi e ho davvero bisogno di riposare qualche ora perché domani mi attende una giornata piena di impegni legati al recente sbarco dei migranti. Olivier, ti ricordo sempre nelle mie preghiere. Sei sempre un fratello per me. Ti chiedo di tenermi costantemente aggiornato sugli sviluppi del caso Riondir. Un abbraccio e grazie!

Simon

  • Dorothy Day – Ho trovato Dio attraverso i suoi poveri – 2023 Libreria Editrice Vaticana.
2)          cfr. Vito Alfieri Fontana – Ero l’uomo della guerra – 2023 Laterza;
Mark Juergensmeyer – Come Gandhi – 2004 Laterza-
Tzu Sun L’arte della guerra 2023 – Feltrinelli.
  • Simon Weil – la condizione operaia – Oscar Mondadori.

Descrizione dell'Opera: Trasmetto, in allegato alla presente, il racconto inedito “L’ARTE DELLA GUERRA E L’ARTE DELLA PACE” ai fini della partecipazione al premio letterario indicato in oggetto. Dichiaro di accettare integral-mente il bando di concorso e autorizzo, ai sensi del Regolamento UE n. 679/2016 General Data Protection Regulation – GDPR il trattamento dei propri dati personali connessi al Premio Letterario. Dichiaro inoltre che l’opera presentata è originale e inedita e di mia esclusiva produzione. Distinti saluti. Dr. Carmine Natale Via A. Oriani n.6 70122 BARI TEL.330786630 Inviato da Posta per Windows