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Libera la mente

Autore: Maurizio Sordelli

Una vera botta di fortuna! Mezza giornata libera, di questi tempi, è un tesoro da sfruttare. E inaspettata. Decido subito di farmi una bella camminata, e vorrei riuscire a gustarmela tutta per “buttare via la testa”, per liberarmi dai tanti pensieri. L’occasione si è presentata all’improvviso, quindi non ci sto a pensare su, mi preparo in fretta ed esco. Dal centro di Lodi, destinazione frazione Torretta, non so bene dove arriverò, di sicuro percorro stradine piccole e solitarie, lontane dal traffico e dai rumori. È tanta l’emozione per l’imprevisto tempo libero a disposizione che l’impressione è di avere i sensi acuiti, sento intenso il profumo dei tigli passando dai giardini pubblici. E già sentire lo scroscio della fontana dell’acquedotto mi iniziava a cancellare dalla mente il turbinio vorticoso dei pensieri e dei problemi che mi frullavano nei giorni precedenti. Mi sentivo più leggero. Lascio il Torrione sulla destra e imbocco via San Bassiano.

Mi sento emozionato esattamente come quella volta al parco di Gardaland, quando il trenino del bruco (mi pare si chiamasse così) entrando in una galleria ci portava in un mondo incantato. Era una sensazione magica, fatta di suoni, colori, profumi, atmosfere di luci e nebbie, personaggi delle fiabe, che a pensarci sembra di essere là ancora adesso. Come un viaggio nel tempo. E uscire da quella galleria era allo stesso tempo bello ma un po’ triste, avresti desiderato che quel momento non finisse mai. Pochi minuti, ma sono bastati per farli diventare il tuo mondo, con tanti sorridenti personaggi dei cartoni animati che saltavano fuori da tutte le parti, ed eri avvolto in una specie di nuvola felice, per vivere felice quei pochi istanti.

Veniva da pensare al film Mary Poppins, ma Bert e i bambini che facevano un salto e andavano nel mondo dei cartoni animati davano sì una sensazione di libertà, ma tu li vedevi, certo, avresti desiderato essere lì con loro e giocare e ballare con i cartoni animati, ma non era la stessa cosa di Gardaland, dove non guardavi solamente la favola, ma ci vivevi dentro.

E intanto la mente si liberava rapidamente, mentre camminavo: ero nella riserva naturale del Pulignano e non mi ricordavo neanche della strada che già avevo fatto. E mi veniva in mente Sabbioneta, la chiesa dell’Incoronata. È talmente uguale all’omonima chiesa di Lodi che se provi a sederti lì a Sabbioneta hai la precisa sensazione di trovarti esattamente a Lodi. Ma Gardaland era più coinvolgente. E comunque, pensando a tutte queste emozioni, mi sentivo più leggero.

Passo davanti al campo di calcio di San Gualtero: quanti ricordi! Mi vengono in mente azioni, gol, risultati di tanti anni fa, e ormai ho già dimenticato tutti i problemi della vita quotidiana. La mente è quasi vuota, piena solo di immagini, profumi, di tulipani di tutti i colori che vedo nel campo poco più avanti. Poi il cimitero da costeggiare, e allora i defunti diventano dei contemporanei di cui ricordo distintamente parole gesti espressioni del viso. Ho lasciato dietro di me, nel cammino, come vestiti che di volta in volta mi tolgo, i pensieri e i problemi. Vedo la chiesetta di San Grato: la porticina è aperta, pensavo fosse una chiesa sconsacrata, l’ho sempre vista chiusa. Mi viene in mente che posso confessarmi. Entro timidamente. C’è il prete. Mi inginocchio. Non ricordo più i peccati che dovevo dire. Per non fare brutta figura, mi invento tutti i peccati, anche i più inverosimili, pur di dire qualcosa. Mi sento confuso, torno un po’ rosso di vergogna verso le panche, mi siedo e mi accorgo solo allora dell’odore che aleggia nell’aria: un misto di muffa, di incenso e di legno umido.

Medito rapidamente sulla figuraccia, l’aver detto in maniera banale, puerile e forse un po’ scoperta alcune cose che non pensavo, e forse lo si capiva. Non era nel mio stile, avevo fino allora cercato in tutti i modi di essere coerente, di dire solo quello che corrispondeva al mio essere. E allora, perché questo strano comportamento? Forse l’alternarsi di tensione e rilassamento aveva sortito questo effetto? Cercavo con affanno dentro di me, ma percepivo il vuoto.

Il prete era sempre là, dietro la grata. Non l’avevo visto bene in faccia, solo intravisto nella penombra della chiesa. Difficile che qualcuno avrebbe avuto bisogno di lui quel pomeriggio. Intravedevo la grata senza esser visto, e intanto i pensieri vagavano per conto loro, ondeggiavano tra il ripensare se quello che avevo fatto poco prima era una seduta dal confessore o dallo psicologo. Mi chiedevo il significato del non ricordare più improvvisamente i peccati di pochi minuti prima. Certo, mancava il solito bigliettino che mi preparavo abitualmente; forse c’era la voglia di cambiare sistema, di essere più concreto e quindi diverso dal passato, e tutto in pochi attimi. Forse da questi pensieri è venuta fuori l’idea: cambio la solita confessione, voglio essere diverso. E quell’imprevisto pomeriggio di libertà spingeva ad accreditare questo significato. Ma rimaneva l’ansia di essere andato un po’ fuori dalle righe, e magari senza accorgermene di aver mancato di rispetto a una persona. Tirato così da una parte e dall’altra, sento il bisogno di un bel respiro, che mi rilassa un poco, pur nello spazio angusto della panca, dove non so bene dove appoggiare i piedi. Cerco di mettere in fila i vortici un po’ contrastanti nella mia testa. Decido che la cosa migliore sia andare a parlare di nuovo col prete. Voglio dimostrare a lui, ma soprattutto a me stesso, di essere una persona seria, intelligente e rispettabile.

Mi avvicino silenziosamente al confessionale e busso leggermente, schiarendomi la voce e inventando una scusa banale per attaccare bottone. Adesso sono più tranquillo, rinfrancato, convinto che parlare col prete metterà in equilibrio la mia pace interiore. Strano, la grata del confessionale era ancora semichiusa. Don Luigi apre di scatto la grata e subito mi investe con parole tonanti, alzando la voce sempre di più. La voce rimbomba. Vorrei scappare, ma non riesco a muovermi, mi sento come paralizzato. Poi di colpo si fa bonario e mi dice che era per scuotermi. In oratorio c’è tanto da fare, mi dice soavemente. Vieni, ti aspetto. Anche domani, se avrai tempo. Aiutare gli altri risolverà i tuoi problemi.

Così dicendo, don Luigi mi prende per mano. Non c’è bisogno di altre parole. Insieme camminiamo lentamente verso una porticina laterale in fondo alla chiesa, un po’ nascosta, infatti prima non l’avevo vista. Mi sentivo come un bambino accompagnato dal papà, mi sentivo timido e nello stesso tempo incuriosito di vedere dove il prete mi stesse portando. Apre la porticina, e il rumore del legno massiccio mi fa sobbalzare per un attimo. Poi mi lascia libera la mano per poter passare più facilmente dalla porta stretta, e per un breve momento alzo lo sguardo. I lineamenti del suo volto non mi sono nuovi, ma aprendo il battente viene inondato dalla luce del sole che rende imprecisi i contorni del viso.

«Maurizio – mi dice don Luigi – ti vedo cambiato, hai fatto pace con te stesso».
Mi stava leggendo dentro. Ma come faceva a saperlo? E come faceva a sapere il mio nome?
«Maurizio, da’ un’occhiata qui fuori, questo è il nostro oratorio. Puoi venire a dare una mano quando vuoi, e potrai fare quello che vuoi. Nel senso che puoi fare quello per cui ti senti più adatto».

Davanti ai miei occhi si apriva uno spazio molto grande, che non avevo mai immaginato esistesse, pur essendo passato dal quartiere di San Grato migliaia di volte in vita mia. Tantissimi ragazzi correvano e giocavano, e ho capito subito in cosa potevo essere d’aiuto: giocare con loro. Ma una cosa mi colpiva, ed era la grande luce che avvolgeva tutto quanto lo spazio sconfinato. La luce intensa non mi dava fastidio agli occhi, anzi, l’impressione era quella di una piacevole tranquillità che l’ambiente mi sapeva trasmettere. Una musica celestiale accompagnava il ritmo dei giochi dei ragazzi. Alcuni di loro, non lontano da me, stavano preparandosi a una corsa. Sentivo che i loro amici scandivano i loro nomi, incitandoli verso il traguardo. Giorgio e Carlo erano in testa, ma lo scatto finale di Enrico, irresistibile, lo fece prevalere sulla linea d’arrivo. Tutti si abbracciarono felici, mentre le note di quella musica, che non si capiva bene da che parte provenisse, diffondeva un canto di montagna, Signore delle cime.

Decido di tornare a casa facendo la strada in mezzo ai campi, che va dritta a un gruppo di cascinali. Mi torna in mente la luce quasi bianca dell’oratorio, una luce serena, e mi chiedevo se per caso non fosse quella la luce che mi mostrava la realtà vera. E un passo dopo l’altro, non mi accorgo di passare davanti allo stadio del Fanfulla. A casa Angela, mia moglie, mi accoglie festosamente con la musica a palla di Made in Heaven: Freddie Mercury lo sento quando ancora devo salire i gradini.
«Eh sì – le dico – proprio un Paradiso! Ma avremo occasione di rifare assieme una bella giornata così, poi ti racconto tutto».

È stato davvero un sogno?

Descrizione dell'Opera: Nel racconto descrivo i sentimenti vissuti in una giornata nella mia città di Lodi, che mi hanno condotto ad una situazione interiore di serenità attraverso gesti e atti concreti: le armi della pace. Sono un ex bancario ora in pensione e, tra il lavoro di nonno e qualche impegno sociale, mi diverto a scrivere racconti.