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L’inverno del soldato Johnny

Autore: Giovanni Samperisi

L’inverno del soldato Johnny

L’ululare lontano dava inquietudine e la sua eco si moltiplicava attraversando la valle cieca di nebbia. Era come un pianto di anime in cerca di riposo o di sangue. Poi niente. Poi ancora niente. Fino a quando, nel silenzio ovattato di quel bianco lattiginoso, si udì un cupo ansimare. Vicinissimo. Prossimo. Allora sì, occorreva avere paura. Johnny cacciò il proiettile in canna, si strinse alla sua carabina e vagolò con lo guardò tutt’intorno. Il respiro della creatura affamata cresceva di forza. Johnny si addossò ad un abete per proteggersi le spalle. Cercava di vedere, ma la nebbia era troppo fitta, fino a quando il caldo ansimare della belva dissolse un po’ la nebbia attorno a due occhi rossi, vicinissimi. Lo spaventoso predatore, allora, spalancò le fauci ferali che colavano di bava apprestandosi a mordere, ma Johnny era pronto e il dito sul grilletto si contrasse. Il proiettile entrò dalla bocca dell’animale, attraversò il cranio e andò a conficcarsi nel tronco di una pianta vicina. Un guaito soffocato echeggiò per la valle, la bestia stramazzò a terra e i compagni accettarono la sconfitta e si dileguarono.

Johnny ebbe pena per quella creatura che, in fondo, non aveva scelto di essere ciò che era e che il destino l’aveva costretta a morire come il suo a fare morire.

Intanto, la luce andava ad affievolirsi e la notte, piano piano, calava con le sue ali nere.

Era meglio accendere un fuoco. Nella legna umida la fiamma faticava a prendere vita, ma Johnny aveva imparato ad essere paziente, aveva esperienza e presto riuscì a farsi luce e caldo. Si accucciò nell’incavo di un albero morto e si preparò a fare qualche necessaria ora di sonno.

Abbassò le palpebre e gli tornò davanti la creatura che aveva dovuto abbattere. Ma c’era qualcosa che non tornava: la sua volontà avrebbe scelto di risparmiare l’animale e coabitare con esso, ma la sua decisione dovette essere diversa e contraria. Allora, la sua libertà?

Nel pensare quella parola, gli sembrò che un peso grande gli fosse piovuto tra le braccia. Già, quali libere scelte aveva fatto lui nella vita? Gli avevano sempre detto che la libertà era il valore più alto, aveva anche sentito parlare di cose difficili, di libero arbitrio, ma più ci pensava, più i conti non gli tornavano. Lui non avrebbe voluto essere lì, combattere una guerra e ricoprire un ruolo che non aveva scelto, dovere uccidere la creatura senza volerlo e doversi angustiare per questo, forse neppure nascere se glielo avessero chiesto: eppure aveva dovuto fare tutto ciò e recitare un copione imposto. Imposto da chi? Perché così? Ma era troppo stanco anche per pensare, mise un grosso ciocco sul fuoco e si addormentò.

Alla prima luce, il verso acuto di un gheppio lo svegliò. Ci voleva coraggio ad aprire gli occhi. Il fuoco era freddo. Le gambe che fuoriuscivano dal tronco brillavano di brina. Pazienza, si sarebbero asciugate strada facendo. Doveva andare, anche se il desiderio di lasciarsi andare lo tentava. C’era ancora parecchio cammino da fare per giungere a casa.

Intanto, il sole risaliva la china, finché il suo primo raggio non giunse a investire la landa ancora morta. La rifrazione creava una stupefacente folla di luci e colori, più che un diadema sul capo di una regina. Ma il tepore svegliò anche la nebbia che si scaldò e tornò a levarsi dalle terre umide. Ciò gli era di ostacolo, perché rendeva difficile orientarsi, anche se dalla posizione del sole poteva trarre qualche indicazione sulla direzione da seguire.

Si fece forza, riprese contatto con la realtà e si rimise in cammino. Il suolo gelato scrocchiava sotto gli scarponi di Johnny e il ritmo generato da quel cric-croc gli ricordò il crepitare del fuoco nel campo zingari incontrati tempo prima. Luladja era il membro più anziano e guidava la carovana. Lei lesse la mano a Johnny e dietro il suo sorriso smaliziato scorse le ombre che accompagnavano l’uomo.

«Voler cambiare l’ordine delle cose, è come volere invertire il viaggio delle stelle,» disse lei solenne e serafica. «La tua libertà è riposta nelle pieghe delle illusioni che sostengono il tuo cammino. La libertà vera risiede nella capacità di saper dire di no. La libertà è dei ribelli, dei bambini e dei matti. Solo questi sanno esercitare la libertà avendo l’ardire e l’incoscienza di andare contro. Non è cosa di tutti, soldato. Piuttosto, fai così: canta, mangia il sale e dormici su.» Johnny non capì e guardò perplesso la decana gipsy che continuò: «l’invenzione della libertà è un sapiente espediente per creare i sensi di colpa dato che i limiti e gli errori sono il frutto malato della tua irresponsabilità. Piuttosto, canta, dormi e mangia il sale. Il sale dà sapore all’esistenza, sa di mare e conserva odori e colori. Il sonno ti proietta nei sogni e ti consola nell’illusione.»

«E il canto?,» tornò a chiedere Johnny

«Il canto è la tua preghiera all’Altissimo e ti dà forza.»

Johnny fu contento di quel ricordo che aveva dato alimento al suo umore. Riprese il cammino. La nebbia rimaneva fitta e impenetrabile quando gli parve di urtare contro un tronco. Ma non era un albero, bensì un altro soldato, un veterano, affaticato dal lungo cammino che, come lui, tornava a casa. Johnny si sentì consolato di quella presenza e gli chiese se conoscesse la via di casa.

«Sì, anch’io vado a casa,» disse il vecchio commilitone, «ma non temere, questo sentiero è la strada giusta, non ci si può sbagliare malgrado la nebbia, le insidie, i nemici e le bestie feroci. Il sentiero porta a casa.»

«Sai,» continuò Johnny, «io cercavo di trovare una scorciatoia, un’alternativa a questa nebbia.»

Ma stavolta il vecchio non rispose e continuò il suo cammino.

Johnny era ancora giovane, pieno di energie, teneva un passo svelto, mentre l’altro, il vecchio, si trascinava stancamente, perciò Johnny dubitò dell’utilità di dare ancora tempo e ascolto al vecchio. Si sa, i vecchi mancano di lucidità, sono fiacchi nell’agire, deboli dinnanzi alle sfide.  No, meglio distanziarsi da costui, per non correre il rischio di ritardare se non di mancare la strada di casa. Salutò e allungò il passo.

Ad un certo punto il sentiero cominciò ad allargarsi, contemporaneamente la nebbia iniziò a dissolversi e davanti a Johnny si aprì una valle… una valle che gradualmente si allargava sempre di più e diventava immensa. Infinita. Mentre la nebbia di diradava veloce mostrando una sterminata moltitudine di soldati che camminavano sul sentiero di casa. Erano tutti sulla strada di casa. Il vecchio aveva ragione, non ci si poteva sbagliare. Era davvero quella la strada di casa. La moltitudine incedeva verso la meta, dove ci sarebbe stato l’incontro con i genitori, i fratelli, gli amici cari che attendevano con gli abiti della festa.

Intanto, però, per Johnny rimaneva ancora del cammino da fare. Johnny ripensò alla vecchia Luladja. Si fermò, prese un pugno di sale per terra e lo mangiò. Chiuse chi occhi. Mormorò la sua canzone. E riprese il cammino.