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Muravka

Autore: Amedeo Francesco Cappella

MURAVKA – Nikolaj e Ivan

 

 

Come è bella la neve.

Questi fiocchi candidi, grandi come farfalle immacolate, quieti, pacifici, poco a poco tappezzano tutto il nostro mondo.

Non più fango, vischioso e puzzolente. Nessun ramo contorto dal fuoco a marcire nella terra. Le buche piene di umanità e dei suoi residui si trasformano in piccole valli bianche e dolci, caste pure ingenue. Niente più sangue rappreso mischiato alla terra, alla melma, alla sporcizia della trincea.

Questa coltre virginale fodera e addobba questo nostro giorno strano.

L’anno scorso fremevo perché non potevo combattere per la mia Ucraina. Violentando il desiderio dei miei genitori di tenermi al sicuro, ero appena tornato da Dublino, lasciando il corso di studi in antropologia. Dopo un paio di mesi mi ero arruolato e scaraventato nell’incubo di una guerra primitiva, senza alcuna poesia ma solo cieca furia, istinto di sopravvivenza. Sì, noi difendiamo la nostra terra da un invasore crudele e senza morale, ma i mesi di combattimento, di violenza, di lutti, di sangue hanno contagiato anche la purezza dei nostri sentimenti. Adesso siamo bestie come loro. Nessuna remora, nessun rimorso solo desiderio di ammazzare e di chiudere questo lutto infinito.

 

Mio dio, mi sembra di essere nella mia Siberia, a Korolevo. Quanti fiocchi, quanta pace, quanto silenzio. Il fiume avanti a noi pare una strada scura, ma sicura. Mi ricorda il mio Tiblisco, placido, profondo, d’inverno ghiacciato e pieno di vita, di ragazzi che ridono, di coppie che usano i pattini per correre lontano dagli altri e appartarsi per gridare il loro amore al mondo. È strana questa pace invece dei sibili, degli scoppi, delle urla, della paura, del dolore.

Sì, noi gli invasori, i Russi spietati e brutali, i figli del demonio… mi viene da piangere.

Piango e non capisco a cosa possa servire. Siamo qui, ci hanno inviato qui, non ci hanno detto perché, ci hanno buttato in un massacro senza fine. I nostri ufficiali ci hanno costretto a sparare a tutti, senza nessuna pietà.  L’alternativa era finire al muro, ammazzati dai nostri stessi commilitoni, da nostri amici, dai nostri fratelli. E quando uccidi per paura, senza misericordia per chi hai davanti, per chi vedi inerme inoffensivo innocente, allora diventi una macchina senza volontà, un automa che cerca solo di evitare di finire con la faccia nel fango, nel piscio, nel sangue, inerte e maledetto da tutti.

Questa neve sembra ovattare anche il mio rimorso, la mia paura. Il bianco dei fiocchi, tranquillo e pacato, nasconde la ferocia e il terrore che spesso sono le facce della stessa moneta. Che pace, finalmente. Devo dimenticare. Voglio dormire.

 

  • Ehi tu, russo. Mi senti? Sono Nikolaj. Sono nella buca di fronte a te. –
  • Non gridare, abbassa la voce, Nikolaj, Se ti sente il mio tenente, mi fa subito sparare se non spara lui a me. È un bastardo. Sono Ivan. Che vuoi?
  • Ivan, la vedi questa neve, vedi quanto è candida, non la sporchiamo con il nostro sangue, perlomeno per oggi. Riposiamo. Io non ti sparo, ma tu non cercare di colpirmi. Fermiamoci oggi. L’avevo quasi dimenticato in questo inferno ma oggi è Natale, il nostro Natale di quando eravamo piccoli e felici. Non ci spariamo addosso. Basta sangue. –
  • Non hai torto, ucraino maledetto. Non vedo l’ora di tornare in Siberia. Ho pure una ragazza a Kalerovo. Irina la bella, la chiamano in paese e ha scelto me da quando eravamo ragazzini. Irina mi ha costretto a continuare a studiare quando volevo lasciare le scuole e tornare a zappare nella fattoria di famiglia. Mi ha convinto che studiando alle scuole agrarie sarei stato capace di avere migliori raccolti e di insegnare ai paesani come renderli più copiosi, come venderli, come mandarli all’estero. È troppo intelligente la mia Irina! Appena torno a casa la sposo, Nikolaj. Guarda, invito pure te al matrimonio! Sei il primo ucraino che non mi spara, non mi ingiuria e maledice, non mi sputa addosso. –
  • Se mi inviti vengo sicuramente. Non sono mai stato in Siberia. E, poi, voglio conoscere Irina. Stai attento perché io ci so fare con le donne, eh. Non ti agitare, sto scherzando. Devi capire, Ivan, però che per gli ucraini voi siete invasori, siete oppressori, siete assassini. Lo so che la maggior parte di voi ragazzi è stata buttata in questo schifo di guerra senza neppure sapere dove andassero e cosa facessero, però la guerra è così, ti prende, ti cambia, ti mastica, ti sputa via quando ti ha spolpato tutta la vita. La paura ti fa compiere atti che mai avresti neppure immaginato. Il nemico ti sembra un mostro con cento teste e tutte con occhi di brace e bocca di fiamme. La guerra è il vero Inferno non quello che ci raccontano i pope! –
  • Nikolaj, basta, lascia perdere, non ne parliamo più perlomeno oggi. Festeggiamo sul serio questo Natale. Diciamola una preghiera insieme, raccomandiamoci a tutti i Santi di Russia e di Ucraina e, poi, un po’ di vodka, un kozuli e un pezzo di pryaniki per brindare celebrare questa nostra amicizia, oltre l’orrore, oltre il terrore, oltre l’odio, oltre questa guerra schifosa. –
  • La mia vodka è migliore, Ivan. È quella originale ucraina, non quella che fate voi annacquata con l’acquavite, è kerosene non vodka! Ho anche qualche zukerky e un po’ di kutia. Me li ha mandati mamma. –
  • Mamma, che dolce nome, Nikolaj, l’avevo quasi dimenticato in questo budello di tenebre che ottenebrano il cuore e la mente. –
  • Dai, stai allegro, Ivan. Oggi siamo noi due in pace. Pensiamo ai nostri cari, a Irina; voglio pensarci anche io a Irina senza che tu ti ingelosisca. Voglio pensare a lei come il simbolo di tutte le nostre donne, delle mamme, delle fidanzate, delle compagne che soffrono in silenzio lontano senza avere nostre notizie e sperando di non averne mai da qualche ufficiale. E possiamo anche dirla una preghiera. Siamo tutti figli di Dio, in fondo. –
  • Hai ragione, Nikolaj, come saremmo senza di loro? Esseri abbrutiti dall’odio di una guerra fratricida. Solo il pensiero di poter tornare da loro con le mani meno sporche possibile e con la coscienza meno sanguinante ci può fare andare avanti senza coprire con i cadaveri e orrori quella poca umanità che ci resta. Ma adesso basta! Amico di un Natale, amico per sempre. Su, veramente, recitiamo una preghiera per questo Natale e per le nostre anime. Dai Nikolaj insieme, nessuna vergogna: Padre nostro che sei nei…-

La sventagliata del mitra spazzò le due buche contrapposte.

Il sangue dei due ragazzi, piano piano dolcemente tranquillamente, colorò la coltre candida che per qualche minuto aveva ricoperto i rifiuti dell’Umanità e aveva pervaso di speranza, di fiducia, di possibilità quel luogo dolente.

Akhmet, il Ceceno, rise soddisfatto.

Aveva ucciso un nemico e un traditore.

Il comandante l’avrebbe ripagato con una scorta di vodka, un pollo tutto intero e quindicimila rubli.

Avrebbe festeggiato quella ricorrenza dei cristiani, il Natale, con qualcosa in pancia e un regalo per la sua Hana.

Le falde immacolate, serene, mansuete, continuano, indifferenti, a tappezzare il mondo. Tra poco anche il sangue di Nikolaj e Ivan si dissolverà.

Buon Natale.