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Pensieri persi nell’alba

Autore: NICOLINA LORENTI

“Pensieri persi nell’alba”

Alzarsi presto, sorseggiare un tè caldo in terrazza e ammirare l’alba mentre i gatti ancora riposano accoccolati sul letto, nel freddo dell’8 di febbraio. Si sta facendo giorno ed io mi perdo a guardare il cielo che si tinge di rosa, rosso, giallo, azzurro, arancione e sembra di ammirare un dipinto che scalda il cuore. Mi perdo nel mio stesso sguardo, in questo cielo che sembra aver rubato le ali di una farfalla, in questo sole che sorge lentamente, in silenzio, con la delicatezza di chi non vuol disturbare. Se dovessi descrivere un frammento di felicità lo farei così. La serenità, la pace. Guardo le montagne che fanno da confine, da orizzonte; mi circondano e mi fanno sentire protetta, al sicuro in questo pezzo di mondo in cui vivo e sembra che racchiudano tutta la valle in un abbraccio che mi avvolge e mi culla. Non c’è altro posto in cui potrei vivere senza le mie montagne che tanto amo, così rigide, austere e rigorose, ma allo stesso tempo amiche che donano speranza e conforto.

Ammiro l’alba e mi torna in mente il sorriso di lui… non ripensavo a quel sorriso da quattro anni. Avevo dimenticato quanto fosse bello: una bellezza che toglie il respiro, una bellezza che fa male, una bellezza che potrei descrivere solo “bello come guardare quest’alba”. Una bellezza di cui sono ammalata, come sono ammalata d’alba. Una malattia dell’anima. Alzo lo sguardo al cielo che si tinge sempre più di rosso mentre il sole sorge e cerco di riempire gli occhi delle bellezze che offre la Natura e ogni dettaglio attorno a me, mi ricorda qualcosa delle persone che amo. Guardando il cielo mi tornano in mente gli affetti che ho perso: mia nonna, un amico caro, i miei cani, ma che continuano a vivere in me e riposano nel mio cuore tra un battito e l’altro, tra un respiro e l’altro.

Per amor mio e per amor di loro, devo riempire il mio cuore di gioia, di pace amore perché possano dormire sogni tranquilli. Non voglio guerra dentro di me e nel mondo. Posso solo combatterla con gli occhi, lasciandomi meravigliare dalla bellezza del colore del cielo, dalla delicatezza di un fiore che sboccia, dal dolce canto degli uccellini che si risvegliano, da un gesto gentile donato al mondo, dalla malattia dell’alba.

Assaporo questi ultimi istanti che scivolavano via in fretta come la folata di vento che sta raffreddando la tazza di té che stringo in mano. Mi resta l’alba, mi resta il mio tè caldo, mi restano le mie montagne. Mi restano otto minuti ancora prima che il sole svegli la città ed un nuovo giorno abbia inizio. Faccio arrivare il silenzio dell’alba sin nel profondo dell’anima, affinché nulla possa turbare la mia quiete, perché la pace nel mondo incomincia da me, apprezzando la mia terra, la mia casa, grata per la vita che m’è stata donata. Lassù in cima alle mie montagne la vista si allarga a nuovi orizzonti, la pace pervade il mio cuore. Lassù, così in alto dove se alzo la mano forse riesco ad afferrare qualche sogno che non ho tenuto chiuso nel cassetto, ma che ho lasciato volare via allontanandolo da me. Solo quando sono lassù, dopo aver affrontato le mie montagne, col sudore e i tagli sulle mani, con la stanchezza nelle gambe, ritrovo un pezzo di me stessa in una scalata che diventa anche la metafora della spiritualità, della quiete e della mia vita, perché la pace si paga solo col prezzo di una guerra vinta con se stessi. Solo quando sono lassù riesco a vincere il monito sguardo delle vette, solo quando sono lassù e ho affrontato fatica, sudore, intemperie, cambi rocamboleschi di temperature e di cieli, voglia di non farcela e voglia di lasciarsi cadere, la montagna mi premia donando chiarezza e serenità. Soltanto lassù, dove non ho più bisogno del suo abbraccio e della sua protezione, mi concedo il posto d’onore in prima fila.

Sorseggio il tè che è diventato freddo, alzo gli occhi al cielo ed il sole ormai è sorto, la città ormai è sveglia, il mio orologio s’è fermato, la clessidra ha vuotato l’ultimo granello, ma domani, ci sarà un’altra alba ad aspettarmi, a farmi ammalare ancora, a farmi innamorare ancora.