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Racconto

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Prendere bombe al volo

Autore: Cristian Riccardi

Due persone, due ragazzi, li vediamo di spalle, seduti su un muretto, gambe a penzoloni ed occhi verso uno splendido tramonto. Uno ha il capelli lunghi che gli ricadono sulle spalle, poco curati, pelle bruciata dal sole, è vestito con una canottiera ed un paio di pantaloncini, all’apparenza entrambi sdruciti. Anche l’altro è in abbigliamento estivo, porta una maglietta ed un costume da bagno multicolore che gli arriva alle ginocchia, la sua carnagione è più chiara, sembra più delicata. Non sappiamo da quanto si conoscono, probabilmente non da molto, si scambiano ogni tanto qualche parola, più che altro è il ragazzo capellone che racconta:

– Sai, avevo cambiato lavoro.
– Fico.
– Sì guarda, avevo bisogno di nuovi stimoli e soprattutto di un’attività all’aria aperta.
– Di cosa ti occupavi di preciso?
– Ero nel campo della logistica.
– Magazziniere?
– Trasporti internazionali più che altro.
– Autista?
– No, no, facevamo tutto a piedi, al massimo si spingevano carrelli.
– Doveva essere faticosissimo ma, scusa, non hai detto che si trattava di trasporti internazionali? Come facevate a fare tutto a piedi?
– In realtà non erano tragitti lunghi, facevi un pezzettino al di qua dal confine ed un pezzettino al di là.
– Ho capito ma almeno un furgone non ve lo potevano dare?
– Impossibile, il furgone non ci passava.
– Non ci passava dove?
– Nei tunnel.
– Nei tunnel?
– Certo amico mio, in che altro modo sarebbe stato possibile andare in Egitto a procurarci le scorte? – Scusa, ma dove abitavi?
– Striscia di Gaza, periferia sud, bei posti se ti piacciono i film di guerra, ultimamente erano un po’ sovraffollati a dir la verità.
– Capisco, deve essere dura da quelle parti.
– Che cosa?
– Beh, dico, deve essere dura vivere a Gaza.
– Ti dirò, il problema non è tanto la difficoltà a vivere, è più che altro la facilità con cui si muore, molto più fastidiosa. Non solo per chi muore, soprattutto per chi ti sta intorno, genitori, fratelli e sorelle, parenti ed amici. E’ capitato anche a me. C’è da star male.
– Ci credo, perdere persone care è sempre terribile.
– Non è solo quello, c’è un’altra cosa che ti fa stare peggio.
– La paura di essere il prossimo?
– No, il sollievo che provi.
– Non credo di capire.
– Tempo fa ero in un tunnel, stavo trasportando medicinali, eravamo una decina in fila indiana, davanti a me c’era mio fratello. All’improvviso abbiamo sentito dei boati sopra di noi, tutto intorno il cunicolo ha cominciato a tremare e poi, all’improvviso, un metro davanti a me, è venuto giù tutto. Quando sono riuscito a vedere qualcosa tra la polvere mi sono reso conto che l’arco del tunnel era crollato in pieno addosso a mio fratello e l’aveva ucciso. Sai cosa ho provato per un decimo di secondo?

– Non penso di riuscire ad immaginarlo.
– Sollievo.
-…
– Sì, ho provato sollievo perchè era toccato a lui e non a me. Poi, immediatamente, mi sono sentito una merda vera solo ad averlo pensato. Ma lo pensi, questa cazzo di guerra ti entra in testa e ti riduce ad una bestia anche se sei dalla parte delle vittime.

– Ma è terribile.
– Già. E’ da quel giorno che ho deciso di smettere coi tunnel e di uscire all’aria aperta, era ora di fare qualcos’altro.
– Perdonami se ti interrompo, ma con tutte le bombe che vi cadevano sulla testa, non avevi paura?
– Beh, sì.
– E ci sei andato lo stesso, nonostante i bombardamenti?
– Ci sono andato proprio perchè bombardavano.
– Spiegati meglio, cosa sei andato a fare?
– Sono andato a prendere le bombe al volo.
– Mi stai prendendo per il culo?
– Non scherzerei mai su una cosa così seria: suonavano le sirene ed io uscivo, alzavo gli occhi al cielo, puntavo una bomba, mi posizionavo, allungavo le braccia ed aspettavo che mi cadesse addosso. Poi la afferravo ammortizzando sulle ginocchia e la posavo delicatamente a terra senza farla esplodere.
– Deve essere stato veramente difficile imparare.
– Ci ho messo un po’ di tempo ma poi ci prendi la mano. Infatti la prima volta non è andata benissimo.
– Cosa è successo?
– Non te lo so spiegare bene: ho fissato la bomba che cadeva, ho atteso e, quando è stato il momento di afferrarla, ho sentito un grande boato, roba da farti fischiare le orecchie per una settimana.
– E dopo?
– Dopo ho continuato, una ad una, per centinaia di volte fino a quando non sono arrivate più e Gaza è diventata una città libera.
– Gaza è libera?
– Certo, ora sì. Ho afferrato le bombe fino a quando quelli là non le hanno finite. Sono stato bravo, vero?
– Ehm, sì… credo di sì.
– Ora però mi piacerebbe tanto tornare a casa, ma non trovo l’uscita da questo posto. Dove hai detto che siamo?
– In cielo, amico mio.
– Già, in cielo…