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Racconto

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STILE DI VITA

Autore: Ester Eroli

La sua esistenza in apparenza era simile a quella di molte altre persone, procedeva su binari normali, contenuti, seguendo uno schema preciso. Era fatta di alti e bassi, di gioia improvvisa, di malinconia, di allegria, di dolore insensato, di imprevisti, di rabbie e ripensamenti. Alcune volte era triste, altre volte spensierato se non addirittura gaudente, pieno di spumeggiante espansività . La vita aveva le sue manifestazioni esteriori, i suoi tormenti interiori che nessuno per fortuna vedeva, nascosti sapientemente dietro un sorriso anonimo quasi di circostanza. Dopo una giornata caotica si rilassava nella intimità della sua casa. Si poteva considerare soddisfatto. Aveva un lavoro decente, anche se non aveva raggiunto le alte vette del successo, dove arrivava sempre puntuale ed era stimato. Aveva una moglie vivace e spontanea, che aveva radicato il senso della famiglia e del dovere. Aveva un figlio incline alla obbedienza, studioso e attivo, che non amava in modo particolare la vita mondana e gli eccessi. Un ragazzo creativo e abile. Era contento di avere una casa accogliente, ben arredata con mobili antichi di pregio, dove era accolto con entusiasmo, dove i suoi cari gli riservavano un trattamento speciale. Aveva una casa al mare con giardino che spiccava per il suo lindore, e che suscitava complimenti da parte di amici e parenti. Il suo approccio alla vita era stato delicato non brutale. Conduceva una vita conforme al suo carattere mite, pratico. Amava l’educazione, il rispetto e con accortezza e con approccio graduale aveva instillato al figlio questi importanti valori. All’inizio la vita gli aveva sorriso e lui aveva dato priorità alla famiglia, al lavoro. Poi con il tempo la sua strada gli era parsa irta di difficoltà, squallida e monotona, piena di sotterfugi, trabocchetti. La splendida avventura aveva rivelato le sue crepe. Aveva scovato fratture, discontinuità, incoerenze. Aveva trovato indifferenza, rabbia, gelosia, invidia, raccapricciante competizione. Gli amici, i parenti, i colleghi si comportavano in modo scandalosamente provocatorio. Si davano da fare per metterlo in difficoltà , per escluderlo, per umiliarlo, per respingerlo apertamente, per metterlo a tacere come fosse un importuno. Sua sorella, una donna fanatica ed egocentrica, pensava solo ad apparire superiore, a competere con sua moglie in fatto di viaggi e abiti. Mentre lui era sempre disponibile, lei appariva sovente fredda e distante. Sentiva una carenza affettiva, un vuoto che lo opprimeva. La sorella invece lo liquidava con una sconcertante disinvoltura. Non lo invitava mai, non gli faceva gli auguri per il compleanno, e se lui si recava a trovarla lei si alterava per la sua irruenza e intromissione nel suo privato. Al telefono era sbrigativa, annoiata, evitava alcuni argomenti. La sua carica odiosa verso di lui scadeva nella aggressività e nel furore. Spesso accampava scuse per non passare il natale con lui. Lei pensava solo a soddisfare le sue brame, i suoi desideri, gli altri li metteva rapidamente alla porta come fossero cani randagi. Si era reso conto in conclusione che i rapporti con la sorella non era idilliaci, presentavano diversi punti oscuri, diverse magagne. Lui sembrava parlare un altro linguaggio, avere opposte esigenze. I parenti tutti, non solo sua sorella, avevano il vizio nei dialoghi di vantarsi o di offendere senza mezze misure o in modo velato ma comunque corrosivo come soda caustica. Lui veniva criticato con battute sarcastiche e commenti salaci per la sua robustezza, per la sua lentezza, per la sua calma. Tutti erano vogliosi di annientarlo per gelosia, per mostrarsi capaci di superarlo. Fra i parenti si erano ingaggiate vere e proprie gare silenziose, condotte in modo tacito ma selvagge, mirabilmente velenose. C’erano gare per le automobili, per le vacanze, per gli istituti scolastici dei figli, persino per le cerimonie. Ognuno cercava di sopraffare l’altro. Certi comportamenti insidiosi gli causavano malumore. Le gare divampavano violente in occasione della estate, era una guerra per mostrare agli altri le proprie ambiziose mete turistiche. Era sempre una sequela ininterrotta di posti famosi enumerati con aria superba e altezzosa. L’invidia serpeggiava. In questi contesti era tipico imbattersi in frasi incresciose, offensive. Le mete scelte da lui erano sempre considerate mediocri, per i parenti e gli amici erano luoghi insignificanti, malfamati, frequentati da gente dei bassifondi. Le note e gli accenti erano maleducati, quasi villani. Aveva scoperto che i parenti si difendevano rivolgendogli battute sarcastiche, frasi acute e ammiccanti, insinuazioni di bassa lega. Certe frasi per incanto si dimostravano, nella loro apparente innocenza, pungenti come aculei acuminati. Erano frequenti frecciate, stilettate, allusioni pesanti che penetravano nella sua carne fino all’osso. Le frasi si ripetevano, vi era tutto un repertorio ricco di particolari piccanti. Anche suo figlio era oggetto di apprezzamenti poco lusinghieri. I parenti spesso sussurravano al suo passaggio, facevano smorfie, si mostravano annoiati. Aveva notato che anche però i colleghi si comportavano allo stesso modo. All’atto pratico lo riprendevano, lo tradivano, lo offendevano. Le provocazioni erano all’ordine del giorno. C’era una guerra sottile per la carriera, per i livelli. La competizione era smisurata, sofisticata accompagnata da una rivalità funesta che rendeva l’aria dell’ufficio irrespirabile. Si era rassegnato a quelle guerre aperte, a quelle sedizioni, a quelle sommosse. Ogni volta che iniziava un discorso con qualcuno il suo cervello percepiva un allarme rosso. In agguato c’erano risposte aspre e lapidarie, insulti più o meno velati, messaggi in codice di esaltazione della propria persona, denigrazione della sua personalità. Agli occhi degli altri lui sembrava non avere pregi. A lui non si potevano assegnare delle qualità di nessun genere. Discorsi torpidi lo lambivano. Era accusato di essere molle, troppo onesto. Nessuno era grato per la sua esistenza. Molti per rabbia per i suoi talenti lo ignoravano, o rincarando la dose, di nascosto lanciavano colpi alle spalle e sparlavano di lui mettendolo in ridicolo. Era una prassi ridere di lui. Gli amici che lo adulavano erano più perfidi perché poi lo pugnalavano puntualmente alle spalle con intento demolitore. Le allusioni vertevano sulla sua modestia eccessiva, sulla sua mancanza di ambizione. Lui non aspirava a una vita materialmente ricca ma una vita serena. Nauseato dalle insinuazioni e dalle battute aveva cominciato ad essere assente nelle riunioni di lavoro, nei raduni familiari, nei compleanni, nelle cerimonie. Invece di ribattere prontamente, vendicarsi aveva scelto la strada del silenzio. Poi aveva scoperto che la serenità interiore era il massimo della felicità. Aveva affrontato l’arena con uno spirito rilassato, accondiscendente. Le frasi che gli propinavano dal sapore acido neppure le sentiva più. Le battute che esplodevano come fuochi d’artificio le ignorava volutamente. Il sarcasmo sprezzante, le sonore risate, i colpi ai suoi punti deboli non lo deprimevano più anzi lo arricchivano. Le battute passavano sul suo capo come frecce andate a vuoto. Il suo comportamento era impeccabile, non tradiva mai rancore, rimpianto, dolore. La sua voce era dolce e sommessa, apportava gioia. Compiva tutti i passi necessari per dissolvere completamente le nebbie del dissapore, del contrasto, della lotta insana. Lui assorbiva le frasi e mentalmente le nettava, le giustificava in modo adeguato. I suoi occhi benevoli tradivano fiducia, infondevano rispetto. Era divenuto esperto di diplomazia, aveva una spiccata propensione a respingere le accuse con un sorriso amabile. Lo tormentavano non lo elogiavano ma lui restava impassibile, immobile. Aveva imparato la tolleranza, che era la sua seconda pelle. Le mormorazioni, i divertenti giri di parole non lo sfioravano, non lo allarmavano, l risate fragorose non lo infangavano. Restava silenzioso con gli occhi bassi, cauto, aiutava pure i nemici all’occorrenza. Non rabbrividiva più davanti alle insinuazioni. Gli apprezzamenti non lo facevano più tremare. Frenava la lingua, gli impulsi. Affrontava il mondo aspettandosi di tutto ma in modo pacato, pacifico, umano. La sua anima brillava candida perché aveva trovato una arma sicura per arrivare alla pace: la tolleranza, la modestia, la franchezza . Una nuova energia benefica scorreva nelle sue vene. Il suo ruolo era quello di rispettare l’umanità in modo ineccepibile. Non si sarebbe fatto coinvolgere dai conflitti che portavano incredibilmente sempre verso la disfatta.

Descrizione dell'Opera: La pace si raggiunge anche attraverso comportamenti più umani e meno crudeli